La Stampa 4.2.16
1976, Radio Alice. L’ultima voce del Movimento
Nasceva
40 anni fa l’emittente libera bolognese incarnò una breve stagione di
creatività e follia che inconsapevolmente anticipò i social media
di Franco Giubilei
Bologna.
La redazione di Radio Alice, ricavata in un abbaino al numero 41 di via
del Pratello, era un porto di mare dove chiunque poteva prendere il
microfono e parlare alla città, sia che si presentasse lì, sia che
telefonasse da casa o da una cabina per la strada, perché le chiamate
andavano immediatamente in diretta. Prima trasmissione il 9 febbraio
1976, con l’intro musicale dell’inno nazionale americano nella versione
distorta di Jimi Hendrix. Le ultime parole affidate all’etere, poco più
di un anno dopo, il 12 marzo ’77, quelle pronunciate con voce alterata
da Valerio Minnella mentre la polizia faceva irruzione coi mitra
spianati: «Sono entrati! Sono entrati! Siamo con le mani alzate, ci
stanno strappando il microfono…».
A Bologna si spegnevano i fuochi
della rivolta scoppiata il giorno prima, in seguito all’uccisione da
parte di un carabiniere dello studente di Lotta continua Francesco
Lorusso, e l’emittente era accusata di aver orchestrato gli incidenti
proprio con il sistema delle telefonate dei manifestanti mandate in onda
dai luoghi dei cortei. In quindici scapparono sui tetti, altri cinque
furono arrestati, dischi e attrezzature finirono distrutti o sotto
sequestro.
Una vita breve ma intensissima quella di Alice, come
tutti la chiamavano a Bologna: voce del movimento, certo, ma non solo,
perché gli spazi aperti agli ascoltatori hanno anticipato lo stile delle
radio private e persino i social network a venire. «La radio era uno
spazio bianco che andava riempito di minuto in minuto, senza palinsesti e
con una redazione diffusa, lasciando alla gente la possibilità di
entrare», spiega Giancarlo «Ambrogio» Vitali, uno dei fondatori.
Il
trasmettitore di un vecchio carro armato, un’antenna di fortuna e un
locale messo a disposizione da un amico, più dischi e giradischi portati
da casa, et voilà, la radio era fatta, in un periodo in cui le
emittenti libere ancora si contavano. Passano poche settimane e Alice
entra nel cuore della Bologna alternativa: «Ci rendemmo conto del
seguito che avevamo quando organizzammo via radio la “festa alle
repressioni”, per protestare contro l’arresto di Bifo (Franco Berardi,
leader del movimento bolognese, (il cui nome era stato trovato
nell’agendina di un brigatista, ndr) – aggiunge Vitali -: in piazza
Maggiore vennero migliaia di persone che ci restarono tutto il giorno,
fra teatranti mascherati, musicisti, yoghin». Fra le innovazioni
cominciano i programmi notturni: «Ricordo la chiamata drammatica di una
ragazza che esordì dicendo: “mi ammazzo…”. Seguì un’ora di chiacchiere
fra me e lei in cui si parlò di droghe, di amore, mentre piangeva come
un vitello e poi rideva. Una persona disperata e sola». La radio era
talmente antipatica al potere locale, cioè al Pci, che Vitali si vide
ritirare la tessera perché al «partitone» credevano che l’emittente
fosse infiltrata dalle Br.
Franco Berardi, che sottolinea la
vocazione dadaista di quell’esperienza, è il protagonista di uno scherzo
clamoroso, un’altra invenzione profetica di tanti giochetti radiofonici
attuali: «Nel febbraio del ’77 “Panorama” pubblicò il numero della
segreteria di Andreotti, così noi chiamammo e io mi presentai come il
senatore Umberto Agnelli, imitandone la voce: inaspettatamente me lo
passarono davvero, così gli dissi che a Torino gli operai non
rispettavano più le decisioni dall’alto, e lui ci cascò, rispondendo che
anche a Roma era un disastro. Nel ’76 c’erano solo la Rai, Radio
Vaticana e Radio Tirana, anche il semplice fatto che ci fosse qualcuno
che trasmetteva le parolacce o “viva la classe operaia” faceva sì che ti
ascoltassero».
Fra i tanti che passarono da via del Pratello,
Valerio Minnella ne ricorda alcuni: «Andrea Pazienza era uno di noi,
Filippo Scòzzari ogni giorno leggeva un racconto digestivo dopo pranzo,
scritti sanguinolenti di Ambrose Bierce pieni di sbudellamenti. Bonvi
veniva anche lui ogni tanto, e poi c’erano i musicisti: gli Skiantos, i
Gaznevada, Guccini, che insieme a Claudio Lolli e agli Area ha
partecipato a concerti di finanziamento della radio. Di notte
trasmetteva il Gruppo Frocialista del Fuori (organizzazione per i
diritti degli omosessuali, ndr), di pomeriggio andavano in onda le
femministe. Il 12 marzo ’77, la mattina dell’ultimo giorno, Bonvi e Red
Ronnie vaneggiavano al microfono di una città solidale con gli studenti e
furibonda con la polizia, con cortei studenteschi guidati da
partigiani…»
La redazione di Radio Alice, ricavata in un abbaino
al numero 41 di via del Pratello, era un porto di mare dove chiunque
poteva prendere il microfono e parlare alla città, sia che si
presentasse lì, sia che telefonasse da casa o da una cabina per la
strada, perché le chiamate andavano immediatamente in diretta. Prima
trasmissione il 9 febbraio 1976, con l’intro musicale dell’inno
nazionale americano nella versione distorta di Jimi Hendrix. Le ultime
parole affidate all’etere, poco più di un anno dopo, il 12 marzo ’77,
quelle pronunciate con voce alterata da Valerio Minnella mentre la
polizia faceva irruzione coi mitra spianati: «Sono entrati! Sono
entrati! Siamo con le mani alzate, ci stanno strappando il microfono…».