giovedì 4 febbraio 2016

Repubblica 4.2.16
Sarà un museo la collezione segreta dei Torlonia
Pace fatta tra lo Stato e i proprietari: la più importante raccolta di scultura antica del mondo sarà prima in mostra e poi avrà una sede a Roma
di Carlo Alberto Bucci e Francesco Erbani

Una mostra subito, di alto valore scientifico. E un nuovo museo nel centro di Roma, in tempi non troppo lunghi. Certo più brevi dei quarant’anni passati dalla chiusura della Collezione Torlonia in via della Lungara. Dopo sei mesi di trattative, incontri intensi, a tratti difficili, rispunta la luce sulle 620 statue della più pregiata raccolta d’arte antica al mondo in mano a privati. Il ministero per i Beni culturali da una parte, i Torlonia, dall’altra, hanno raggiunto l’accordo per rendere progressivamente visibile questo prodigioso patrimonio che dal 1976 giace in tre stanzoni al piano terra di uno dei palazzi di famiglia,
accanto all’Accademia dei Lincei, ammassato su scaffali e illuminato da qualche pallida lampadina.
Mancano alcuni dettagli, mancano le firme, attese entro poche settimane. Ma si avvia a conclusione una burrascosa e paradossale vicenda. Il percorso, in varie tappe, è tracciato. La prima tappa è una mostra allestita in una sede ancora da definire nel 2017 – si è pensato alle Terme di Diocleziano, ma l’ipotesi sembra venuta meno, e perde quota anche il Museo Nazionale Romano, a Palazzo Massimo. La seconda tappa prevede che gran parte delle statue, dopo la mostra, vengano ospitate stabilmente in un edificio nel cuore della Capitale. Forse Palazzo Valentini. Comunque un edificio di proprietà pubblica, di spiccato prestigio, per custodire opere che rimarranno di proprietà privata. Il nome possibile? Uno, antico e nuovo al tempo stesso: Museo Torlonia.
A luglio scorso (come anticipato da Repubblica), quando sono stati avviati i contatti fra ministero e famiglia Torlonia, si era pensato di esporre una ventina di statue, un assaggio della collezione, composta di sculture greche e romane, molte acquistate da altre collezioni, come quella che fu dei Giustiniani, con la celebre Hestia, altre recuperate negli scavi compiuti nelle proprietà dei Torlonia. Ora invece si è deciso che in mostra andranno una sessantina di opere. Tra cui la celebre serie dei ritratti imperiali.
Non sarà dunque un assaggio, bensì l’esposizione frutto di un progetto culturale centrato sulla storia e sulla fisionomia della Collezione. Il programma verrà sottoposto ai Torlonia per l’approvazione. Ma la persona scelta per curarla dà garanzie assolute: Salvatore Settis, fra i massimi studiosi d’arte antica. Con lui lavorerà Carlo Gasparri, archeologo e professore a Napoli, che più di tutti conosce la Collezione e di ogni pezzo ha individuato la provenienza: da altre collezioni, appunto (Vitali, Caetani, Giustiniani – 270 dei 620 pezzi totali – e la bottega di Bartolomeo Cavaceppi, restauratore e scultore settecentesco), o dagli scavi a Villa dei Quintili, Villa di Massenzio e Caffarella sull’Appia Antica, oltre a via Latina, Porto e Centocelle. Un sopralluogo a via della Lungara è previsto per il 16 febbraio.
La mostra avrà un impatto internazionale. Dopo Roma è possibile che vada al British e al Getty. Ferme restando le garanzie di tutela, che spetta alla Soprintendenza archeologica di Roma. Ma che potrebbe essere trasferita ad altri uffici (quali?) quando entrerà in vigore la contestata riorganizzazione del ministero voluta da Franceschini.
La famiglia Torlonia assicurerà il restauro delle opere (per la cura di un bronzo ci vogliono circa 40 mila euro). Saranno quindi moltiplicati gli interventi che già vengono praticati sotto la guida esperta di Anna Maria Carruba su alcuni pezzi custoditi a Villa Albani, capolavoro dell’architettura settecentesca realizzato da Johann Joachim Winckelmann.
La storia recente della Collezione Torlonia è assai aggrovigliata. Fino al 1976 le statue erano sistemate in 77 stanze del palazzo di via della Lungara. Non erano accessibili a chiunque, ma erano disposte con criterio e il museo conservava i tratti della collezione privata ottocentesca. Fu il principe Alessandro Torlonia, che adesso ha novant’anni, a decidere di trasferirle nei tre cameroni dove sono tuttora. Il museo doveva essere trasformato in 90 miniappartamenti. Seguì una vertenza giudiziaria. I lavori erano abusivi (il principe aveva chiesto l’autorizzazione a riparare il tetto) e inoltre lo sfratto delle statue venne considerato un danno all’integrità della collezione. Ci furono sequestri, sentenze, condanne e amnistie. Ma intanto le statue rimasero lì, nelle stanze in fondo a un corridoio un tempo adibite a granai e a scuderie. Nessuno poteva più vederle né studiarle. L’unico che aveva accesso alle sculture fu appunto Carlo Gasparri, incaricato dal tribunale di Roma di farne l’inventario. Insieme a lui potevano entrare i funzionari della Soprintendenza addetti alla tutela. Antonio Cederna scrisse decine di articoli, denunciando lo scandalo di un patrimonio sottratto al godimento e allo studio.
Negli anni diversi sono stati i tentativi di soluzione. Talvolta bonari, talaltra meno. Ma nessu- no ha prodotto risultati. Le statue sono rimaste a prender polvere. D’altronde ipotesi di acquisto da parte dello Stato si scontravano con il valore inestimabile della Collezione. E non era semplice trovare una sede dove collocarla. Il tempo stempera gli umori più aggressivi. Sul passato e sugli abusi commessi si prova a stendere un velo. E così quando si fa avanti un misterioso compratore che sostiene di essere in contatto con il Getty (ma dal Getty smentiscono), le comunicazioni fra il ministero e la famiglia Torlonia riprendono: il direttore generale delle Antichità, Gino Famiglietti, da una parte, Alessandro Poma, trentaquattrenne nipote del principe Alessandro, presidente della Banca del Fucino, la banca di famiglia, dall’altra.
Famiglietti è fra i grandi artefici dell’accordo. Ma la sua direzione generale sparirà, stando sempre alla riforma Franceschini: questo come influirà sull’accordo stesso? Poma ha la piena fiducia del nonno, ed è lui che, a piccoli e meditati passi, porta l’anziano principe alla trattativa con il ministero. Trattativa che inizia con la visita che nel luglio scorso Franceschini compie a Palazzo Giraud, in via della Conciliazione, residenza del principe. Il colloquio è cordiale e i negoziati iniziano. Entrano in scena gli avvocati delle due parti, non mancano battute d’arresto e scambi piccati. Ma in pochi mesi l’accordo si trova. Troppo pressante per tutti l’urgenza di restituire un patrimonio nascosto per tanto tempo.