il manifesto 4.2.16
Caso Etruria, troppi conti svuotati. Per i pm ipotesi insider trading
Banche. Attesa per lunedì la decisione del Tribunale di Arezzo
di Riccardo Chiari
Chiudere
il proprio conto corrente non è un reato, così come cercare di
ricontrattare le proprie obbligazioni con la banca che ti ha convinto a
prenderle. Ma certo, di fronte al caso dei 228 milioni di euro usciti
dalle casse di Banca Etruria e del Lazio nelle sei settimane precedenti
il decreto salvabanche del governo, il sospetto di insider trading –
nell’accezione penale di «abuso di informazioni riservate» – è più che
legittimo. A tal punto che i magistrati aretini, secondo le
anticipazioni di alcuni quotidiani, hanno dato mandato ai finanzieri di
scoprire di chi siano i conti azzerati in quel periodo. E di capire se
ci sono stati contatti promiscui fra la banca e i suoi facoltosi clienti
prima del 22 novembre scorso, giorno del salvabanche.
Certo, che
il rischio fosse alto per gli investitori della Bpel si era capito fin
da febbraio, quando Bankitalia aveva commissariato l’istituto di credito
e aveva aperto la procedura di amministrazione straordinaria. Ma quella
accelerazione nei movimenti in uscita, segnalata nella relazione del
commissario liquidatore Giuseppe Santoni che ha sollecitato lo stato di
insolvenza della vecchia Etruria (il tribunale deciderà lunedì), può
dare spazio ad intepretazioni penalmente rilevanti.
Per giunta,
osserva il deputato Giovanni Paglia di Sel-Sinistra italiana, nella
plancia di comando in quel periodo c’erano i commissari di palazzo Koch.
«Bankitalia deve delle risposte – tira le somme Paglia – non è
possibile che chi aveva il compito di controllare non se ne fosse
accorto. E comunque va eliminato il dubbio che ad alcuni clienti, magari
eccellenti, siano state anticipate informazioni riservate». Discorso
analogo peraltro potrebbe essere fatto per Banca Marche, commissariata
da Bankitalia nell’ottobre 2013. E sulla quale gira la voce che, prima
del decreto salvabanche, alcuni obbligazionisti abbiano trattato la
restituzione dei loro titoli subordinati. Rimettendoci del denaro, ma
non tutto quello che avevano investito.
Su questo versante, ad
oggi la magistratura di Ancona non sembra essersi mossa. Invece la
procura ha lavorato parecchio sui crediti facili concessi ad gruppi
imprenditoriali senza adeguate garanzie, per alcune centinaia di milioni
di euro, prima dell’arrivo di Bankitalia. L’inchiesta, in dirittura di
arrivo, si incentra su 36 fra ex amministratori di Banca Marche e di
Medioleasing, membri del vecchio cda e una decina di imprenditori,
clienti “eccellenti” dell’istituto di credito. Tutti sospettati a vario
titolo di appropriazione indebita aggravata alla corruzione tra privati,
falso in bilancio e in prospetto, false comunicazioni sociali, e
ostacolo all’esercizio della vigilanza.
Tornando ad Arezzo, una
inchiesta già finita e pronta per l’udienza preliminare del 10 marzo
prossimo è quella relativa all’ostacolo alla vigilanza da parte di
Giuseppe Fornasari (ex presidente), Luca Bronchi (ex direttore generale)
e David Canestri (dirigente) di Banca Etruria. Un’indagine partita a
seguito della relazione di Bankitalia di fine 2013, e legata sia alla
rappresentazione farlocca, data nel bilancio 2012 della banca,
dell’ammontare dei crediti deteriorati, che soprattutto dell’assai opaca
operazione che portò ad inserire nella società Palazzo della Fonte
tutto il patrimonio immobiliare di Bpel, ad eccezione del centro
direzionale di via Calamandrei e della sede storica di Corso Italia.
Insomma, carne al fuoco ce n’è molta. E se il tribunale di Arezzo
deciderà lunedì per l’insolvenza di Etruria, ce ne sarà ancora di più.
Con un’ipotesi sempre più corposa di bancarotta fraudolenta.