il manifesto 4.2.16
Incostituzionale è non dare i diritti
di Felice Casson
Sono
uno dei primi firmatari del disegno di legge sulle unioni civili,
cosiddetto Cirinnà, all’esame del Senato. Desidero però precisare di
averlo sottoscritto a fatica, perché costituisce un compromesso, il
terzo o forse addirittura il quarto compromesso al ribasso rispetto alla
proposta normativa originaria. Meno di così, francamente, non mi
parrebbe proprio possibile discutere di unioni civili o di convivenze di
fatto e tanto meno votarle. Nel tentativo di venire incontro alle
necessità sociali e istituzionali di persone ancora oggi discriminate
per ragioni sessuali e di bambini cui vengono ancora oggi negati diritti
fondamentali, abbiamo accettato di riscrivere il testo del disegno di
legge, smorzandone alcuni toni, pur ribadendone i capisaldi
imprescindibili. Motivi per cui voterò questo testo, ma pure tutti gli
emendamenti estensivi a favore del pieno riconoscimento delle unioni
omosessuali.
Si continua a parlare di presunta incostituzionalità
del disegno di legge, ma incostituzionale è semmai l’assenza di alcuna
tutela nei confronti delle coppie dello stesso sesso e dei loro bambini.
Lo ha chiarito la Consulta che, con la sentenza-monito n. 138 del 2010 e
con la n. 170 del 2014 sul cosiddetto “divorzio imposto”, rilevando
appunto un vuoto normativo in materia, ha imposto al legislatore di
intervenire con la «massima sollecitudine» per introdurre una disciplina
che tuteli queste formazioni sociali in cui, secondo l’articolo 2 della
Costituzione, si sviluppa la personalità umana. E la Corte europea dei
diritti dell’uomo a luglio scorso ha condannato l’Italia proprio per
l’assenza di una disciplina che garantisca adeguata tutela per le unioni
non matrimoniali. Dunque il ddl Cirinnà, lungi dall’essere
incostituzionale, dà invece attuazione, seppur tardiva, all’articolo 2 e
pone semmai fine alla violazione del principio di non discriminazione
sancito dall’articolo 3 (così come si dovrebbe fare per quelle
formazioni sociali quali, in primo luogo, partiti e sindacati, le cui
garanzie costituzionali non hanno ancora trovato compiuta attuazione).
Il limbo giuridico che caratterizza oggi le unioni omosessuali è,
peraltro, incompatibile anche con l’articolo 9 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea che garantisce a chiunque il diritto di
sposarsi e costituire una famiglia a prescindere dall’orientamento
sessuale. Ed è proprio questa situazione (incostituzionale) di vuoto
normativo, di indifferenza giuridica (persino per le convivenze di
fatto), che vogliono mantenere coloro che si oppongono a questo disegno
di legge, utilizzando motivazioni del tutto strumentali.
Come
quella secondo cui l’adozione coparentale legittimerebbe la surrogazione
di maternità. Non c’è in alcuna parte del disegno di legge qualcosa che
minimamente consenta una tale lettura o interpretazione: il cosiddetto
“utero in affitto” resta un reato e chi propone di inasprirne le pene,
estendendole anche a chi ricorra alla gestazione per altri, non fa che
negare il carattere laico che fonda la nostra democrazia. Qui si tratta
invece, molto semplicemente, di prendere atto di tante situazioni di
fatto di coppie che si amano; e di tanti bimbi e bimbe che già esistono e
che hanno diritto a veder riconosciuto giuridicamente un rapporto
essenziale per la loro crescita in condizioni serene. Sono queste le
situazioni che il legislatore ha il dovere, sociale etico e giuridico,
di regolamentare, tenendo ben presente il faro della uguaglianza, della
dignità e della solidarietà.
Considerazioni analoghe andrebbero
svolte per i milioni di persone che hanno deciso per una convivenza di
fatto, che qualcuno, obnubilato, ha persino proposto di stralciare.
Non
resta dunque che rivolgersi al Presidente della Repubblica per chiedere
conferma di una attenzione speciale verso il rispetto della nostra
Costituzione, violata non certo da questa legge ma dall’attuale
condizione di vuoto normativo che circonda queste realtà, umane e
sociali. Tale illegalità, sostanziale e giuridica, deve essere
assolutamente sanata, venendo incontro alle esigenze e ai diritti di
tutti, anche delle minoranze, dei più deboli e dei meno tutelati, senza
far loro pagare responsabilità che di certo non hanno, nell’alveo dei
princìpi di uguaglianza e solidarietà sanciti dagli articoli 2 e 3 della
Costituzione.