Il Sole 4.2.16
Le mille crisi di un’Unione sempre più liquida
Forse
quando impreca contro un’Unione che gli sta troppo stretta,Renzi grida
alla sua impotenza,alla difficoltà di governare con la mani legate.
Sapendo al tempo stesso che liberarsi dalle catene sarebbe anche peggio
che tenersele.
di Adriana Cerretelli
Ma dove
vuole davvero andare a parare il contraddittorio muscolare che Matteo
Renzi insiste a intrattenere con l’Europa, le sue istituzioni, le sue
politiche, le sue regole in questi tempi di Brexit e Unione sempre più
liquida? Ad ammorbidirne gli angoli tirando l’acqua al mulino degli
interessi nazionali: la risposta più scontata. A coltivare il consenso
interno in un Paese sempre più euroscettico alla vigilia di importanti
appuntamenti elettorali: altra spiegazione plausibile. A cambiarla,
l’Europa, per farla migliore, più moderna, flessibile, meno soffocante e
impositiva, attenta a crescita e lavoro: obiettivo ufficialmente
proclamato dal premier. «La Commissione svolgerà il suo ruolo senza
cadere in politiche rigide e stupide di austerità» ha detto ieri
Jean-Claude Juncker, il suo presidente. Un punto a favore? Solo una
parte della storia: un conto è tirare sassi contro un solido edificio in
cemento armato, un altro è farlo contro un condominio barcollante, le
fondamenta che scricchiolano e alcuni dei suoi 28 inquilini tentati
dalla fuga. Brexit potrebbe dargli il colpo fatale.
Per evitarlo
convincendo gli inglesi a non disertare, l’Unione prova ad andare
incontro alle loro richieste senza snaturarsi. Missione impossibile,
nonostante le abilissime contorsioni giuridiche che hanno confezionato
l’offerta puntino a dimostrare il contrario. Quando si distingue tra
cittadini e migranti europei, lavoratori nazionali e non, mettendo in
discussione la loro libertà di circolare a parità di diritti sociali
rispetto ai residenti locali, si erode uno dei pilastri del mercato
unico europeo. Quando poi si accetta che le sovranità nazionali
prevalgano scavando solchi nell’unione bancaria e dighe intorno
all’Eurozona, si svuotano il progetto europeo e la sua identità per
trasformarli in un gran carrozzone multi-exit, dove ciascun Paese prende
e lascia quel che vuole, scegliendo di volta in volta i legami che
vuole stabilire con gli altri. Europa à la carte, insomma. «In questa
Unione assediata da troppe crisi, il referendum su Brexit sarà un
referendum europeo oltre che inglese», avverte un diplomatico. Potrebbe
diventare la scintilla del rompete le righe. Il copione giuridico è
scritto: va solo approvato a 28. Proprio perché temeva l’Europa che
sarebbe diventata andando oltre il mercato unico senza frontiere per
creare l’euro a egemonia culturale tedesca, con tutte le conseguenti
compressioni di sovranità nazionale – parlamentare, monetaria, di
bilancio – Margaret Thatcher vi oppose il gran rifiuto. Lo stesso
opposto all’ingresso in Schengen, alla condivisione di sovranità su
sicurezza interna e giustizia. L’Italia ha fatto la scelta opposta: ha
propugnato l’euro e per entrarci ha fatto carte false. Si è scientemente
affidata al vincolo esterno come scelta virtuosa e alibi perfetto per
imporre al Paese una modernizzazione che la sua politica debole da sola
sarebbe stata incapace di pilotare. Poi però la manna dei tassi bassi,
la facilitata governabilità del debito le hanno fatto dimenticare
l’importanza cruciale e l’urgenza delle riforme strutturali in un paese
sclerotico, malato di ritardi culturali, scompensi Nord-Sud, crescita
ineguale e di una gran confusione mentale nella sua classe dirigente.
Oggi Renzi deve fare i conti con questa eredità scomoda e paralizzante.
Quindi urla la sua esasperazione. Sbaglierebbe però a illudersi che la
nuova Europa all’inglese possa togliergli le castagne dal fuoco. Al
contrario. Incoraggiando lo sfilacciamento dei vincoli di partnership
europea a tutti i livelli, in un’Unione che peraltro da anni si sta
rinazionalizzando indipendentemente dalle allergie di Londra, finirà per
mettere presto l’Italia di fronte a dilemmi strategici esistenziali.
Impossibile
nell’Eurozona sognare meno vincoli e più libertà di manovra, a parte
qualche briciola più o meno ghiotta di flessibilità di bilancio, quando
si è il Paese dell’iper-debito.In compenso in un’Europa più
lasca,l’integrazione di pochi diventerà in futuro più stringente,
prescrittiva e brutale nella nuova logica del prendere o lasciare:
dall’euro all’unione bancaria fino a Schengen.