giovedì 4 febbraio 2016

Il Sole 4.2.16
La chiusura delle frontiere costerà fino a 110 miliardi
Il think tank del governo francese (France Stratégie) stima la perdita potenziale per il Pil europeo
di Marco Moussanet

Quale sarebbe l’impatto economico, in termini di riduzione potenziale del Pil, della fine di Schengen e quindi di un ritorno delle frontiere interne tra i 26 Paesi che aderiscono all’accordo? Circa 110 miliardi, lo 0,8% del Pil dell’area. A esercitarsi per la prima volta in una simile previsione, inevitabilmente empirica ma basata su modelli attendibili, è France Stratégie, il think-tank creato nel 2013 dal Governo francese e guidato da Jean Pisany-Ferry.
Non a caso ora. E cioè nel momento in cui la Commissione europea – sulla base della richiesta avanzata lo scorso 26 gennaio dai ministri dell’Interno – sta lavorando alla procedura che dovrebbe consentire la sospensione degli accordi del 1985 (in vigore dal 1995) per due anni. Allargando all’intera area, e rendendo di fatto strutturale, il ripristino dei controlli alle frontiere già deciso da sei Paesi (Germania, Austria, Francia, Slovenia, Svezia e Danimarca) a fronte dell’eccezionale ondata migratoria dell’ultimo anno (più di un milione di persone, provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Irak) e dei crescenti rischi per la sicurezza legati al terrorismo islamico.
Il rapporto si concentra ovviamente sulla Francia e quantifica in uno/due miliardi l’impatto negativo a breve termine, a seconda che i controlli siano più o meno rigorosi ed estesi. La cifra sarebbe imputabile per il 50% al calo del turismo (la Francia è la prima destinazione al mondo, con circa 83 milioni di visitatori all’anno), per il 38% agli effetti sul lavoro transfrontaliero e per il rimanente 12% alle conseguenze sul trasporto merci.
Ma se la situazione dovesse diventare definitiva, con l’abbandono di Schengen, l’impatto sul medio termine, in uno scenario cioè al 2025, sarebbe ben più importante: circa 13 miliardi, pari allo 0,5% del Pil francese. Con un calo delle esportazioni compreso tra il 10,8% e l’11,4% e delle importazioni tra l’11,4% e il 13,7 per cento.
Per l’intera area Schengen le conseguenze sarebbero ancora più gravi, con un effetto sul Pil dei prossimi dieci anni pari appunto allo 0,8%, poco meno di 110 miliardi.
Impossibili da stimare, secondo il gruppo di lavoro presieduto da Pisani-Ferry, ma «assolutamente da non sottovalutare», sarebbero le conseguenze sul progetto europeo, che subirebbe un brusco stop. Va ricordato che secondo le ultime rilevazioni di Eurobarometro, la libera circolazione è al secondo posto nell’elenco dei risultati positivi dell’Unione europea, appena al di sotto della pace.
In questo clima di alta tensione, il Governo francese ha varato il progetto di legge che proroga di tre mesi lo stato di emergenza nel Paese (quello in vigore, deciso dopo le stragi del 13 novembre ed esteso a fine novembre all’intero territorio nazionale, si concluderà il 26 febbraio). Un secondo progetto di legge punta a rendere definitive alcune misure previste dallo stato di emergenza (perquisizioni notturne, controlli d’identità rafforzati, soggiorni obbligati e controlli amministrativi), rafforzando i poteri dei Procuratori (che in Francia non sono autonomi ma dipendono gerarchicamente dal ministero della Giustizia) e del ministro dell’Interno.
Non si placano infine le polemiche sulla revoca della nazionalità a chi commette reati di terrorismo. L’opposizione al provvedimento (a sinistra ma anche a destra) potrebbe rendere impossibile l’approvazione a maggioranza qualificata dalle due Camere a congresso (come previsto per le riforme costituzionali) e indebolire ulteriormente François Hollande a poco più di un anno dalle presidenziali.