martedì 2 febbraio 2016

Repubblica 2.2.16
Stati Uniti.
I volontari che aiutano il candidato dem: “È vecchio ma con lui si cambia”
“L’età non conta” Nelle strade dell’Iowa con i Bernie-Boys
di Federico Rampini

DES MOINES (IOWA) “Io non guardo all’età di Bernie Sanders ma alle cose che dice e a quello che ha fatto per tutta la sua vita. È uno che non ha mai preso ordini dal capitalismo». Amanda Loutris oggi ha solo 17 anni ma il diciottesimo compleanno arriva prima di novembre: giusto in tempo per votare Bernie Sanders. Di qui a là, investe questi mesi della sua vita come militante volontaria nella campagna elettorale. Lavora per un uomo che ha l’età non di suo padre ma di suo nonno: 74 anni. La trovo indaffaratissima col suo laptop, inserisce dati per gestire il traffico dei volontari, la composizione delle squadre, i turni di lavoro, i volantinaggi porta a porta. È arrivata dall’Illinois, vive in una cittadina a 45 minuti di Chicago. È una delle tante Bernie- girl, le incontro alla sede provvisoria della campagna elettorale di Sanders a Des Moines. Con lei lavora la 21enne Stella Tsantekidou, origine greca, laurea in Inghilterra e già un’esperienza nel Labour di Corbyn. Stella è convinta che Sanders sta «liberando tanti giovani americani dai pregiudizi sulla parola socialismo».
Siamo in un magazzino spartano, preso in affitto in un centro commerciale, al 3420 Martin Luther King Parkway. Amanda e Stella sono due tipiche esponenti della loro generazione: i giovanissimi sono i più entusiasti seguaci di Sanders. All’interno degli elettori democratici, l’anziano senatore del Vermont – che si autodefinisce un socialista – raccoglie addirittura il 63% dei consensi tra gli under 35. Eppure non fà nulla per nascondere il look del nonno. È un po’ duro d’orecchio e ai dibattiti televisivi qualche volta ha dovuto farsi ripetere le domande. Come colonna sonora per scaldare il pubblico prima dei raduni manda in onda la canzone “America” di Simon & Garfunkel: anno 1968. Lui viene da quell’epoca, si è formato con le battaglie pacifiste contro la guerra del Vietnam, il movimento hippy, la contro-cultura degli anni Sessanta, roba su cui la Generazione Millennio ha fatto le tesi di laurea come se fosse storia antica.
Sam Spadino è un altro di questi volontari affluiti nell’Iowa da tutta l’America. Di lontane origini italo-americane, trent’anni, vive a Minneapolis (Minnesota). Anche per lui l’età di nonno Sanders è un valore, un segno più. «È uno che ha mostrato coerenza coi suoi principi per tutta la sua vita – mi spiega – e nel suo caso i capelli bianchi sono un segno di saggezza. Ha vissuto gli anni di Ronald Reagan e gli anni di Bill Clinton, ha appreso le lezioni che andavano apprese, ha capito gli errori da non fare più, sa tante cose che la mia generazione deve ancora imparare. Voglio qualcuno come lui alla guida del paese, per aiutarci a costruire il nostro futuro». Un altro volontario appena trentenne è Aaron Wikler, pure lui arrivato da Minneapolis, quattro ore di autostrada: «Io mi preoccupo per il nostro pianeta, per l’ambiente in cui vivremo. È ora di finirla con la corruzione implicita nella nostra democrazia, il ruolo delle multinazionali nel finanziamento della politica. Sanders è l’unico che ha detto di no ai grandi finanziatori. Wikler non è alla sua prima esperienza politica. Partecipò alla campagna Obama 2012. E prima ancora, al movimento Occupy Wall Street. «Non andai al Zuccotti Park di Manhattan ma dormii alcune notti nell’accampamento di Minneapolis, quella protesta si era diffusa in molte città degli Stati Uniti».
Occupy Wall Street non è morto, dunque? Come metodo di lotta durò solo pochi mesi, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Ma diffuse nel discorso pubblico americano il tema delle diseguaglianze, con immagini efficaci come “un’economia fatta per arricchire l’un per cento”. Per molti della Generazione Millennio fu un battesimo alla politica, l’iniziazione a forme di attivismo. Il fenomeno Sanders affonda le radici in Occupy Wall Street. Quel movimento effimero cercò dei padri (o nonni) storici, degli autori di riferimento, e finì per trovarli nei “classici” della contestazione degli anni Sessanta. Aver vissuto quell’epoca, aver studiato quelle battaglie e meditato su quelle sconfitte, improvvisamente diventa un titolo d’onore, una ragione per essere ascoltati.