Repubblica 2.2.16
La rivoluzione politica dei Millennials
Ecco il mondo che vuole la generazione cresciuta a cavallo del 2000
Sono
giovanissimi ma scommettono sui “nonni” nella vita come alle elezioni,
perché incarnano ideali, etica e radicalità In Francia puntano su Juppè,
negli Usa spingono Sanders, in Gran Bretagna Corbyn
di Anais Ginori
Qualche anno fa il manifesto della grande rivolta giovanile è stato “Indignatevi” di Stéphane Hessel, classe 1917
I veri “punk”, ribelli e antagonisti, ha scritto qualche giorno fa il Parisien, hanno tante rughe e capelli bianchi
Molti ragazzi che lavorano da mesi per la campagna elettorale del senatore del Vermont contro Hillary hanno da 17 a 30 anni
PARIGI
METTI una sera in discoteca con il nuovo idolo politico dei giovani
francesi. L’appuntamento è in un locale di Montmartre, tra ragazzi che
bevono birra e scattano selfie. Finalmente arriva il loro candidato,
quello che sperano di lanciare fino all’Eliseo nelle presidenziali del
2017. Alain Juppé si toglie subito la giacca, resta in maniche di
camicia tra gli applausi. È salito a piedi fino al Sacro Cuore,
centoventi scalini, e neppure una goccia di sudore. «Molti lo prendono
in giro per la sua età, ma è il più moderno di tutti» esulta Matthieu
Ellerbarch, 24 anni, presidente dei comitati giovanili per Juppé alle
primarie dei Républicains: oltre duecento gruppi in tutto il paese. L’ex
premier ha compiuto 70 anni nell’agosto scorso: se venisse eletto
finirebbe il suo mandato a 77 anni. Ma per molti militanti non è un
problema. Come non lo è per i ragazzi che sostengono Bernie Sanders, 74
anni, rivale di Hillary Clinton alle primarie americane e che, se
vincesse, potrebbe sfiorare gli ottant’anni alla Casa Bianca. «Almeno
con Juppé — continua il sostenitore ventenne — sappiamo che ci sarà un
solo mandato e si impegnerà davvero nelle riforme senza pensare a come
essere rieletto». L’età non ha impedito neppure Jeremy Corbyn, 66 anni,
di vincere l’anno scorso la guida del partito laburista, il candidato
sovversivo amato dalle nuove generazioni.
Il giovanilismo non fa
per i giovani. Anzi, i Millennials, quella generazione nata tra il 1982 e
il 2004, sono la categoria sociologica che sembra più vicina, per
valori e affinità, ai senior. Non è solo la politica a dirlo. In
Francia, libri di autori novantenni come Edgar Morin e Jean d’Ormesson
sono amati soprattutto da lettori sotto ai quarant’anni che vengono alle
presentazioni a chiedere autografi. E qualche anno fa il manifesto
della rivolta giovanile è stato “Indignez-vous!”, Indignatevi, firmato
da Stéphane Hessel, classe 1917.
Tutti pazzi per i nonni, visti
più dei genitori come punto fermo in un mondo in tempesta, ponte tra
vecchio e nuovo secolo. I punti in comune sono tanti. Come la
generazione che ha attraversato le guerre, i Millennials sanno che il
futuro non è garantito. Devono affrontare crisi sociali ed economiche,
la precarietà, il terrorismo, la minaccia del cambiamento climatico. «È
una generazione complessa da decifrare perché è cresciuta in un mondo
complesso» spiega Alexandra Jubé, responsabile nell’agenzia di tendenze
Nelly Rodi. Per i sociologi i Millennials sono ancora un’enigma, spesso
in bilico tra gli estremi. Individualisti e tolleranti. Distratti ed
esigenti. Lontani dalla politica e impegnati in azioni sociali dal
basso. Critici del sistema ma non disposti a fare la rivoluzione. Nel
lavoro come nella vita, spesso antepongono il privato al pubblico. Negli
Stati Uniti sono già dominanti sul mercato del lavoro: 53,5 milioni,
più della generazione X e dei baby boomers. «Cambieranno totalmente i
codici di consumo e gli stili di vita» prevede l’analista.
Nella
visione politica i Millennials sono in cerca della radicali- tà
interpretata meglio dai senior che non da generazioni più vicine, più
inclini ai compromessi, cresciute in epoche di benessere e progresso
sociale. I nonni sono percepiti come outsider del sistema. I veri
“punk”, ribelli e antagonisti, ha scritto qualche giorno fa il Parisien,
hanno tante rughe e capelli bianchi. «I Millennials sono favorevoli
alla democrazia diretta, rifiutano l’intermediazione racconta Anne
Muxel, studiosa del centro di ricerca Cevipof di Sciences Po e autrice
di un saggio appena uscito, “Temps et Politique”. Come sul lavoro, in
cui i ragazzi non riconoscono più l’autorità assoluta, chiedono
un’organizzazione orizzontale e non verticale. Se è vero che molti
giovani sono attratti da forze populiste, dal Front National al
Movimento 5 Stelle, Muxel osserva una tendenza in aumento per candidati
che mettono avanti l’etica, tornando a valori antichi: la tolleranza,
l’eguaglianza sociale. La generazione “Me, myself and I”, come cantava
Beyoncé, accusata di egoismo, è invece capace di accettare le
differenze, senza cedere alla tentazione dell’esclusione. I politologi
Vincent Tiberj e Antoine Jardin parlano di una gioventù “pluralista”
perché è mobile nelle scelte, ha abbandonato lo scontro ideologico tra
destra e sinistra, e non esprime due sentimenti polarizzanti del
dibattito: il rigetto dell’immigrazione e la paura dell’Islam. I
“pluralisti”, notano gli studiosi, sono maggioranza tra i giovani, oltre
il 60%, soprattutto nella fascia più istruita. I Millennials difendono
un immaginario politico aperto e cosmopolita simile a quello nonni che
hanno saputo accogliere e integrare tante ondate di immigrazione, dal
dopoguerra in poi.