Repubblica 2.2.16
Joanne Kellermann, incaricata dei piani di risoluzione delle banche italiane e tedesche. Visione opposta a quella di Visco
“Il problema non è il bail in ma gli abusi sui titoli venduti”
intervista di Ferdinando Giugliano
Le
perdite che hanno colpito gli obbligazionisti di quattro istituti di
credito hanno mostrato quale possa essere l’impatto della cosiddetta
“risoluzione” bancaria. Da gennaio, questa procedura viene gestita dal
Comitato di Risoluzione Unico di Bruxelles. Joanne Kellermann, avvocato
ed ex direttore esecutivo della Banca Centrale Olandese, ha il compito
di preparare i piani di risoluzione per le banche italiane e tedesche,
oltre ad essere uno dei cinque funzionari che voteranno su quando
attuarli.
In un’intervista a
Repubblica,
la Kellermann difende il meccanismo di risoluzione che, sostiene, può portare a risultati migliori delle alternative.
«La
risoluzione bancaria non è come un’infezione che cade dal cielo» dice
ai margini di un convegno organizzato dall’Ispi a Milano. «L’alternativa
per una banca in difficoltà non è che non accada nulla, ma le procedure
di insolvenza. Una parte integrante della risoluzione bancaria è il
meccanismo di
bail in,
che può forzare obbligazionisti
subordinati e ordinari, oltre ai correntisti sopra i 100.000 euro, a
perdere soldi prima di un eventuale salvataggio pubblico. Ignazio Visco,
governatore della Banca d’Italia, in un intervento sabato ha chiesto
all’Unione Europea di rivedere queste regole, perché introdotte troppo
repentinamente. Ma la Kellermann, intervistata prima del discorso del
governatore, sostiene che i Paesi abbiano avuto tempo per adattarsi alle
nuove norme.
«Si è saputo da un po’ di tempo che [il bail in]
sarebbe scattato quest’anno» dice a Repubblica. «Penso che ci sia un
obbligo per le autorità – noi da quando esistiamo, ma prima della nostra
esistenza anche per le autorità nazionali – di istruire il pubblico,
perché è importante che le persone abbiano chiarezza sui loro diritti e i
loro doveri».
La percentuale di obbligazioni bancarie nelle mani
dei piccoli risparmiatori italiani è più alta che nel resto dell’area
euro. Come già evidente nel caso di Banca Etruria e delle sue sorelle,
questa peculiarità vuol dire che l’azzeramento dei titoli bancari può
colpire direttamente i cittadini, invece di essere limitata agli
investitori istituzionali, come le assicurazioni, che sono in grado di
assorbirle meno traumaticamente. Ma per la Kellermann, il problema è
quello di evitare gli abusi. «Se c’è stata vendita fraudolenta - dice -
le autorità di regolamentazione del mercato devono intervenire. Ma è un
problema diverso dal bail in».
Uno dei pericoli che è stato
attribuito al bail in è quello di aumentare i costi di finanziamento
delle banche, minandone la stabilità. Ma per l’alto funzionario europeo,
l’evidenza empirica a riguardo non è così chiara.
«Ci sono studi
che dicono che i costi saliranno, e ci sono altri che dicono che non lo
faranno. Il mercato deve prezzare il rischio nel modo in cui deve essere
prezzato. Se c’è più trasparenza, questa potrebbe essere una buona
cosa. Prima della crisi eravamo d’accordo che il prezzo del rischio era
sbagliato, e questo ci ha portato ad una situazione in cui non volevamo
essere».
La Kellermann crede che l’unione bancaria debba essere
completata attraverso la creazione di un fondo di garanzia dei depositi
comune, che tuteli con fondi europei i depositanti fino a 100.000 euro, a
cui i tedeschi si sono per ora opposti. Ma la sua esperienza, che
comprende il salvataggio della banca belga Fortis, crollata nel 2008, la
convince che anche l’unione bancaria così come è strutturata al momento
sia migliore della situazione che c’era in precedenza.
«Sono
diventata membro del board [della Banca Centrale Olandese] nel novembre
2007, dunque c’ero in quelle situation rooms, con banche come Fortis che
erano state colpite severamente dalla crisi, e ho un’esperienza
personale di com’era quando non avevamo regole e strumenti».
Una
delle accuse mosse alle istituzioni europee è quella di doppiopesismo.
Prima che le regole cambiassero, Paesi come l’Olanda e la Germania hanno
usato fondi pubblici per salvare alcune delle loro banche con molte
meno condizioni di quelle che verrebbero chieste ora. Per la Kellermann è
importante che il Comitato di Risoluzione, guidato dalla tedesca Elke
König, sappia affrontare questo problema di percezione. «Siamo
un’istituzione dell’unione bancaria, ed è il nostro ruolo assicurarci
che le regole […] siano applicate in maniera uguale in tutti gli stati
membri. Che sia percezione o no, quello che è successo durante la crisi è
stato dovuto alla frammentazione, a una grande varietà di risposte e
tutti hanno riconosciuto ci fosse bisogno di regole e approcci comuni.
Questo
non vuol dire però, che la risoluzione sia l’approccio migliore in
tutti i casi. «La risoluzione non è per tutte le banche. Lo scenario di
base sono le procedure di insolvenza. [Comunque] se c’è una soluzione di
mercato, opteremo per quella. Solo se non c’è soluzione, ci sarà
risoluzione».