Repubblica 2.2.16
“Etruria era in attivo, l’hanno fatta fallire”
Nella memoria dell’ex presidente della banca depositata al tribunale fallimentare di Arezzo accuse a Bankitalia
di Fabio Tonacci
ROMA.
«Il decreto Salva-Banche del governo è incostituzionale». E se
l’Etruria è fallita, sostiene chi l’ha governata fino al
commissariamento, la colpa è anche della Banca d’Italia. In un memoriale
di una ventina di pagine, depositato ieri dal legale dell’ex presidente
Lorenzo Rosi nella cancelleria del Tribunale fallimentare di Arezzo,
c’è la sintesi di tutto quello che gli ex manager della Popolare
avrebbero voluto dire pubblicamente in queste settimane e non hanno
detto. A cominciare dal decreto legge approvato dal Consiglio dei
ministri il 22 novembre scorso, che ha definito il piano di salvataggio
dei quattro istituti (Banca Marche, Carife, CariChieti e Banca Etruria)
e, di fatto, ha sancito l’azzeramento delle obbligazioni subordinate.
«Il
decreto vìola la Costituzione - si legge nella memoria difensiva
scritta dall’avvocato di Rosi, Antonino Giunta - in almeno due articoli:
il 47 sulla tutela del risparmio e l’articolo 3, perché ha creato
disparità di trattamento tra i cittadini». Il punto è che chi aveva i
titoli obbligazionari venduti dall’Etruria si è ritrovato in mano carta
straccia. Dunque - questo è il ragionamento - sono stati discriminati
rispetto agli altri investitori.
Il secondo punto su cui si regge
la difesa di Rosi sono i conti. «Abbiamo lasciato Banca Etruria ai
commissari in attivo, con più di 60 milioni di euro di patrimonio netto,
nonostante ci avessero già imposto di svalutare i crediti deteriorati
al 62 per cento. Con noi la Banca rientrava nei parametri europei, non
era insolvente. I due commissari voluti da Bankitalia, Riccardo Sora e
Antonio Pironti, sono entrati nella sede centrale di Arezzo l’11
febbraio 2015, durante il consiglio di amministrazione che stava
approvando il bilancio 2014. Secondo gli ex manager, l’intenzione era di
deliberare anche la tanto auspicata ricapitalizzazione. Quel cda si era
era formato nove mesi prima: Rosi presidente, vicepresidenti Alfredo
Berni e Pier Luigi Boschi, il padre del ministro delle Riforme. Poi però
c’era stata l’ultima, decisiva, ispezione della Banca d’Italia, che
aveva portato al commissariamento.
Nei nove mesi in cui Pironti e
Sora hanno guidato l’Etruria hanno accettato su richiesta dell’istituto
centrale «un’ulteriore svalutazione dei crediti deteriorati all’87 per
cento, così creando un buco in bilancio di 416 milioni di euro che ha
portato le perdite a quota 1,1 miliardi di euro. «Ma erano perdite
virtuali - sostiene l’ex presidente Rosi - e non effettive.
Insomma,
la difesa degli ex amministratori rovescia su Palazzo Koch e sul lavoro
dei due commissari le responsabilità della paralisi e del rosso in
bilancio. L’8 febbraio al Tribunale fallimentare è fissata la prima
udienza sul ricorso per lo stato di insolvenza, presentato dal
liquidatore Giuseppe Santoni. Un passaggio che non è detto che si
risolva in una sola giornata di camera di consiglio. Se la vecchia banca
Etruria venisse dichiarata insolvente, come il liquidatore chiede, la
procura di Arezzo valuterà l’apertura di una maxi inchiesta per
bancarotta fraudolenta.