Repubblica 2.2.16
L’Italia, le statue coperte e le verità elastiche
Renzi dice: sono il leader di un grande paese. Ma in un grande paese i monumenti non si impacchettano da soli
di Roger Cohen
LA
DECISIONE italiana di coprire i nudi dei Musei Capitolini per non
urtare la sensibilità del presidente iraniano, laureato a Glasgow, in
visita di Stato, è stata interpretata come prova definitiva della
capitolazione della civiltà occidentale di fronte all’Islam teocratico.
Per
dirla con Hishan Melhem, editorialista della versione inglese di Al
Arabya, si è trattato di «un atto spudorato di autoevirazione e
ossequio».
Se l’Italia, erede delle glorie dell’Impero romano,
impacchetta alcune delle sue opere d’arte più raffinate per scongiurare
l’eventualità che l’occhio del presidente Hassan Rouhani cada sul seno
acerbo di una divinità marmorea non c’è da sorprendersi che i fanatici
islamici (sunniti, non sciiti, ma comunque islamici) scelgano di
distruggere il glorioso patrimonio greco-romano di Palmira. O quanto
meno questa è la logica.
Il boxgate ha messo l’Italia in ridicolo.
Non c’è nulla di peggio e in questo caso la berlina è meritata. Non
tanto per il goffo atto di cortesia, in sé valore importante e ormai
sottovalutato. Vedere il crollo dell’Occidente in un nudo nascosto è
un’esagerazione. Capita di sbagliare. No, la berlina è meritata perché
sembra che la decisione di coprire le statue non l’abbia presa nessuno. A
Roma lo scaricabarile non ha mai fine.
La venere capitolina si è impacchettata da sola una notte perché si annoiava e un paio di altre divinità l’hanno imitata.
Il
primo ministro Matteo Renzi non ne era al corrente. Il ministro dei
Beni culturali ha definito la decisione “incomprensibile”. Entrambi
ribadiscono (forse anche con troppa enfasi) di essere rimasti sorpresi
come tutti di fronte a quei cubi bianchi – nessuno, tra l’altro ,
fornito dalla prestigiosa galleria londinese White Cube.
Secondo
una versione la decisione è stata presa da una dipendente di Palazzo
Chigi, Ilva Sapora, dopo una visita ai Musei Capitolini compiuta assieme
ai funzionari dell’ambasciata iraniana. «Stupidaggini», mi ha detto Jas
Gawronski, ex parlamentare europeo. L’ipotesi che un funzionario di
Palazzo Chigi di grado intermedio, responsabile del cerimoniale, possa
aver preso una decisione del genere appare del tutto inverosimile.
Gawronski reputa più probabile che la responsabilità sia da attribuire a
funzionari della Farnesina.
Una cosa si può dire con certezza:
nessuno saprà mai chi è stato. Negli anni Ottanta per un periodo sono
stato corrispondente da Roma. Ogni tanto si registravano sviluppi nelle
indagini sugli attentati, come quello di Piazza Fontana nel 1969, o di
Brescia nel 1974. Tutto un succedersi di processi, sentenze, ricorsi in
appello. Le acque si intorbidivano invece che chiarirsi. Ci volevano
decenni per arrivare a condanne che lasciavano i dubbi irrisolti.
L’Italia non ha mai avuto tempo di capire che la giustizia tardiva è
giustizia negata.
Renzi ha voluto rompere con quest’Italia di
segreti torbidi, l’ha voluta modernizzare, darle un governo stabile che
risponde delle sue azioni. Ha realizzato importanti riforme della legge
elettorale e del lavoro. Ma ha un problema. In pieno scandalo delle
statue coperte, intervistato dal mio collega Jim Yardley Renzi ha detto :
«Sono il leader di un grande paese». In una grande paese le statue non
si impacchettano da sole.
La verità in Italia è elastica. Terra di
conquista, il paese ha imparato l’arte saggia di esprimersi con
ambiguità, come del resto la Persia, a sua volta terra di conquista. In
fin dei conti questa vicenda è un labirinto degli specchi italo-
iraniano con una pentola piena di monete d’oro al centro, per un valore
stimato di 18 miliardi di dollari di accordi commerciali.
Gli
iraniani ribadiscono di non aver chiesto che i capolavori dell’umanesimo
classico venissero coperti: anche in questo caso non ha deciso nessuno.
L’Iran
diffida a sua volta della chiarezza. Fa parte delle sue tradizioni
l’affascinante rituale del taroof , fondato sull’ipocrisia, e del
tagieh, che equivale a sacrificare la verità in nome del superiore
dovere religioso.
Restando in tema di negazione della verità,
l’Ayatollah Khamenei, il supremo leader iraniano, ha nuovamente messo in
dubbio l’Olocausto. Ha scelto di farlo in un video pubblicato sul suo
sito web proprio in occasione del giorno della memoria. Ci sarà un nuovo
“Concorso di vignette e caricature sull’Olocausto” a giugno.
Inutile
dire che questa negazione dell’Olocausto è infame, il regime dà il
peggio di sé. È anche sintomo della disperazione dei falchi, decisi a
bloccare l’apertura al resto del mondo voluta da Rouhani. Pensano che la
negazione dell’Olocausto farà fallire ogni proposito di distensione. La
parola in voga tra i sostenitori della linea dura è nufuz, o
infiltrazione da parte dell’Occidente, da cui gli iraniani vengono messi
in guardia in vista delle elezioni parlamentari di questo mese.
Si
possono coprire un paio di statue nei Musei Capitolini, ma non si può
nascondere la spaccatura tra la società iraniana, nella stragrande
maggioranza dei casi favorevole all’apertura nei confronti
dell’Occidente, e il regime teocratico determinato a far si che
l’accordo sul nucleare non conduca a una più ampia cooperazione con gli
Usa e l’Europa.
Lungi dall’essere prossimo a capitolare,
l’Occidente esercita un forte magnetismo culturale, evidente nella
rabbiosa disperazione dei suoi avversari.
© 2016 New York Times News Service Traduzione di Emilia Benghi