lunedì 29 febbraio 2016

Repubblica 29.2.16
Scegliere tra palliativo e cura
di Ferdinando Giugliano

IL RISCHIO di un rallentamento dell’economia mondiale nel 2016 mette il governo italiano davanti a un bivio. Una strada passa attraverso il rispetto dei principi concordati con i partner europei, che prevedono un contenimento del deficit pubblico e margini di flessibilità per finanziare riforme strutturali e investimenti. L’altra, più azzardata, passa per un’operazione unilaterale di taglio delle tasse, volta a spingere l’economia in una fase in cui la congiuntura internazionale è sfavorevole. In principio, la politica economica dovrebbe essere “anticiclica”: il governo dovrebbe tirare il freno nei periodi in cui il settore privato marcia spedito e pigiare sull’acceleratore quando le aziende hanno paura di investire e i consumatori di spendere. Il problema è che l’Italia si è giocata molti anni fa la possibilità di utilizzare la finanza pubblica come prevedono i manuali di macroeconomia. Un debito pubblico al 130%, con una sostanziosa quota nelle mani di volubili investitori stranieri, è un elefante nella stanza impossibile da ignorare.
C’è poi un problema di credibilità politica. Solo pochi giorni fa il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto in una conferenza stampa congiunta con il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker che il suo giudizio sulle attuali regole fiscali europee è « hic manebimus optime ». Un cambio di direzione unilaterale rischierebbe di venire accolto con un sonoro “ quo vadis?”, fatto di procedure di infrazione e prolungata conflittualità coi nostri partner.
È evidente che se l’economia europea dovesse davvero entrare in una nuova fase di recessione, Bruxelles dovrebbe evitare di chiedere ai governi sforzi eccessivi di consolidamento fiscale, che rischierebbero di essere controproducenti. Ma è altrettanto chiaro che, al momento, il governo farebbe meglio a evitare operazioni fiscali in deficit di dubbia credibilità, puntando invece su una rimodulazione più intelligente della spesa pubblica e della tassazione.
La prima è infatti troppo sbilanciata verso il finanziamento della spesa corrente, a danno degli investimenti che hanno subito negli scorsi anni un vero crollo. Il vantaggio della spesa per investimenti è doppio: da una parte, permette di mettere subito denaro nell’economia. Dall’altra, aumenta la produttività di lungo periodo, perché consente alle aziende di domani di beneficiare di connessioni Internet più veloci o di trasporti pubblici più efficienti. Le risorse per far ripartire i cantieri ci sono, basta spulciare nei lavori di revisione della spesa e delle cosiddette agevolazioni fiscali fatti negli anni da Piero Giarda, Francesco Giavazzi, Carlo Cottarelli e Roberto Perotti, e mai presi seriamente in considerazione per una mancanza di coraggio politico.
Anche sulla composizione della tassazione c’è molto da fare. A Palazzo Chigi negli ultimi mesi ci si è appassionati a misure di incerta efficacia come il taglio delle tasse sulla casa o i bonus fiscali destinati alle più disparate categorie di elettori. Ieri, poi, il viceministro all’economia Enrico Morando ha parlato di un possibile anticipo del taglio delle tasse sul reddito, che al momento il governo prevede in coincidenza con la scadenza elettorale del 2018, ma che potrebbe essere portato al 2017. Queste misure, che hanno l’obiettivo di far ripartire i consumi, sono poco adatte a un’economia che ha subito una vera devastazione del suo tessuto produttivo durante la crisi. Il rischio è che questi soldi finiscano per essere spesi in importazioni, beneficiando dunque aziende straniere, oppure messi in banca, come dimostra il recente aumento del tasso di risparmio degli italiani.
Il governo dovrebbe invece spingere per ridurre il carico fiscale sulle imprese, come fatto, anche se in modo ancora timido, con l’abbassamento di Ires e Irap, e soprattutto per ridurre in modo strutturale il cuneo fiscale, che impedisce alle aziende di assumere quanto vorrebbero. Gli incentivi alle assunzioni introdotti l’anno scorso sembrano aver avuto un effetto positivo sull’occupazione, come riscontrato nella versione preliminare di un paper scritto da due ricercatori della Banca d’Italia. Il governo, e in particolare il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, devono muoversi decisi per trasformare questa droga temporanea in una medicina permanente.
Scegliere in maniera intelligente il tipo di misure fiscali da attuare ha un ulteriore vantaggio: fa costruire consenso a livello europeo. E se il governo italiano ha davvero, come ha detto in queste settimane, l’ambizione di riformare la governance e la politica economia dell’eurozona, la strada da imboccare è quella delle alleanze e della credibilità.