lunedì 29 febbraio 2016

Repubblica 29.2.16
Il personaggio
Con il compagno Ed ha seguito tutto il percorso per la paternità negli Stati Uniti. Il bambino si chiama Tobia Antonio
La felicità e la delusione di Nichi “Avevo sperato nella stepchild”
di Annalisa Cuzzocrea Lello Parise

ROMA. «Spero nella stepchild adoption», aveva confidato Nichi Vendola alle persone che gli sono più vicine prima di partire. Sperava - questo il suo ragionamento - di riportare il suo bambino in un Paese in cui non solo avrebbe potuto ufficializzare il legame con il compagno Ed Testa, una convivenza che dura dal 2004, ma anche riconoscere come suo il figlio di lui. Dandogli tutti i diritti di cui oggi le famiglie arcobaleno sono prive. Per questo, la battaglia politica per la legge sulle unioni civili ha avuto - negli ultimi mesi - un sapore ancora più personale.
Quel che non voleva, Vendola, era esporre la sua famiglia agli attacchi scomposti delle ultime ore. «Lui ed Ed sono pazzi di gioia», racconta chi ci ha parlato. Una felicità che supera il fastidio per una fuga di notizie che hanno cercato di evitare in ogni modo. Proteggere questo momento dai racconti degli inviati, dagli obiettivi dei fotografi. Proteggere una scelta intima e un bambino appena nato. Il leader di Sel ha tenuto segreto il suo progetto per mesi. Senza confermare mai le voci circolate sui viaggi frequenti in Canada - terra d’origine del fidanzato - e in California (entrambi Stati dove la maternità surrogata è legale). Senza ufficializzare quello che solo i parenti e gli amici più intimi sapevano. Da quando ha lasciato la guida della regione, Nichi ha avuto in mente soprattutto questo: «Un matrimonio, un bambino, una famiglia».
È Terlizzi, il paese dove abita, che non è riuscito a tacere. Quel paese cui è tanto attaccato e che fremeva in attesa dell’annuncio. Ai fratelli Gianni ed Enzo, alla sorella Patrizia, sabato pomeriggio è arrivato solo un messaggio sul telefono: «È nato il bimbo». Da lì, la voce ha rincorso gli amici più cari curiosi di sapere tutto: il nome, il peso, quando sarà in Italia.
Prima di partire per quest’ultimo viaggio - tra il 2015 e il 2016 Ed e Nichi hanno fatto avanti e indietro con gli Stati Uniti almeno quattro volte - all’autista che lo aveva accompagnato all’aeroporto di Bari Vendola disse: «Ci vediamo alla fine di marzo o al massimo i primi giorni di aprile». Bisognerà aspettare che il bambino abbia almeno un mese, prima di fargli affrontare un viaggio così lungo. Forse di più: «Non hanno nessuna fretta di tornare, si sono organizzati per fare le cose con più calma possibile», svela chi li conosce.
«Nichi ama molto stare con i bambini», raccontano gli amici. «Con i miei passa sempre le ore a giocare - dice il deputato Arturo Scotto - e non ha mai nascosto la sua voglia smisurata di avere figli. In questa fase però è stato molto riservato e noi non abbiamo fatto troppe domande ». Quel che conta, dice il capogruppo alla Camera, «è che saranno due genitori straordinari. Nessuno deve entrare nella loro vita privata. Questa campagna d’odio è la faccia peggiore di un’Italia che - in realtà - è molto più aperta di quella che vediamo sui social network». Gero Grassi, deputato del Pd, terlizzese come Vendola e ottimo amico dell’ex presidente della regione Puglia, dice: «Gli ho inviato un sms per fargli gli auguri, ma non mi ha risposto. Quando non sa quello che deve dire fa così. Io penso che tutti i bimbi debbano avere un padre e una madre. Ma se lui e Ed sono felici, sono felice anche io. Sicuramente gli daranno tutto l’amore possibile, non ho dubbi».
Sarebbe stato proprio Ed, il compagno italo-canadese, grafico e creative consultant, a scegliere il nome Tobia. Ma il secondo nome, Antonio, a chi conosce Vendola non può che ricordare la madre dell’ex governatore, Tonia Lategola, morta solo pochi mesi fa a dicembre 2015. Una presenza forte e fondamentale nella vita di un uomo che ha rivelato la sua omosessualità a 20 anni, nel 1978, quando non era semplice né in Italia né all’interno del partito comunista di cui faceva parte. Un anno fa, al settimanale Chi, Vendola diceva: «È un pensiero che riposa nella mia vita e che ho sempre rimandato. Uso provocatoriamente questo bisogno contro la pigrizia della politica sul tema dei diritti civili». E ancora: «Ho sempre amato il mondo dell’infanzia, vorrei scrivere un libro di filastrocche per bambini ».
Raccontano, a Terlizzi, di quanto il loro concittadino sperasse nella stepchild adoption. Del resto l’aveva detto pubblicamente battendosi per il disegno di legge Cirinnà nella sua versione originaria. Esattamente un mese fa, in un’intervista al Manifesto, il leader di Sel chiariva anche la sua posizione sulla maternità surrogata. E le sue parole tornano alla mente oggi, quando dice esplicitamente che la sua storia «nulla ha a che fare con l’utero in affitto». «C’è qualcosa di promettente, ma certo anche di pericoloso nelle tecniche che consentono la fecondazione artificiale e la conseguente procreazione: e i traffici di bambini nei paesi più poveri sono stati una specialità delle coppie etero». Ma, aggiungeva, «ci sono le esperienze degli Stati Uniti, del Canada o di Israele in tema di gestazione per altri. Ci sono donne socialmente emancipate che scelgono, non per il profumo dei soldi, di vivere l’esperienza di una maternità surrogata. Sono questioni complicate e complesse che alludono a una straordinaria mutazione dei costumi e della cultura, perfino dell’antropologia: affronteremo queste sfide con il codice penale?». Una domanda che poneva alla politica e che entra di diritto nel dibattito - appena iniziato in Parlamento - sulla riforma delle adozioni.