Repubblica 27.2.16
Ala al Aswani,
Intellettuali in cella, cristiani condannati solo per una frase. Parla lo scrittore Ala al Aswani
“In Egitto non c’è libertà la morte di Giulio per noi è inaccettabile”
“Ci sono meno diritti oggi che ai tempi di Hosni Mubarak”
“Il regime di Al Sisi ti può arrestare anche solo per un post sui social”
intervista di Anna Lombardi
Ala
al Aswani, medico dentista e scrittore egiziano vicino agli
intellettuali di sinistra del suo Paese, è autore fra gli altri del
romanzo “Palazzo Yacoubian”
«Non si può tacere. Quello
che sta accadendo in Egitto è terribile. Nel mio paese la libertà, sotto
qualunque forma, è sempre più sotto attacco». Non tace Ala al Aswani.
Il più celebre scrittore egiziano — autore di bestseller come Palazzo
Yacoubian, Chicago, Cairo Automobile Club — che fu al fianco della
rivoluzione ai tempi di Piazza Tahrir, non smette di esprimere il suo
dissenso. L’ultimo gesto è la firma, insieme ad oltre 500 esponenti del
mondo dell’arte, della cultura e della società civile egiziana, di una
dichiarazione di solidarietà con lo scrittore Ahmed Naji. Condannato a
due anni di prigione per “offesa alla morale pubblica” a causa del
contenuto del suo ultimo libro, Istikhdam al- Hayat, l’uso della vita.
Un appello dove si esprime la preoccupazione di vivere in un Paese dove
l’arte, la cultura, la critica e il libero pensiero sono sempre più
sotto attacco da parte dello Stato.
Cosa sta accadendo in Egitto?
«C’è
meno libertà d’espressione oggi che ai tempi di Mubarak: il regime di
Al Sisi teme tutto ciò che non controlla. Non solo: nella lotta politica
contro i Fratelli Musulmani il regime ha finito per sposarne certi
valori. E ora è terrorizzato da tutto ciò che riguarda la religione e la
morale. Pensi che solo ieri cinque ragazzini cristiani sono stati
condannati per essersi fatti beffa dello Stato Islamico. Citavano un
verso del Corano: è bastato a mandarli in prigione...»
È in questa atmosfera che ha trovato la morte di Giulio Regeni?
«Assolutamente
sì. Che storia dolorosa, inaccettabile, inesplicabile. Purtroppo parte
del problema è che qui l’apparato di sicurezza è ancora gestito da
uomini di Mubarak che si muovono guidati da un sentimento di vendetta
nei confronti della rivoluzione. Per loro qualsiasi elemento di novità è
potenzialmente rivoluzionario. Può trattarsi di arte d’avanguardia così
come di uno studio scientifico. Che poi a modo loro rivoluzionari lo
sono anche. Ma non nel senso che teme il regime».
Nel mirino non ci sono dunque solo gli oppositori. Oggi in Egitto anche artisti, intellettuali, studiosi sono in pericolo?
«Viviamo
ormai in uno stato di polizia dove nessuno è al sicuro. Qualunque
attività fuori dal coro può portarti in carcere. Puoi finirci per aver
partecipato a una manifestazione pacifica. Per aver scritto un romanzo
con un passaggio erotico, come Ahmed Naji. O, come la poetessa Fatima
Naoot, per aver definito lo sgozzamento degli agnelli in occasione della
festa islamica di Eid al-Adha, “il più grande massacro dell’umanità”.
Una frase scritta su Facebook che le è valsa una condanna a tre anni per
offesa alla religione. La mia impressione è che si sta rafforzando
l’islamismo nella società nel tentativo di occupare il vuoto lasciato
dall’uscita di scena dei Fratelli Musulmani a causa della repressione».
Lei ha paura?
«Sono
abituato alla repressione e alla paura che comporta. Da quindici mesi,
ormai, non posso pubblicare i miei articoli. Il regime ha fatto
pressione sui giornali affinché non mi dessero spazio. Sono stato
bandito dalla televisione. E dallo scorso dicembre anche i miei seminari
sono stati cancellati. L’unica libertà che mi resta è Twitter. È lì che
ormai esprimo il mio pensiero. Ma non mollo. Molti miei compagni sono
in prigione: chi sta fuori ha il dovere di portare avanti la lotta ».
La
gravità della situazione egiziana, soprattutto dopo la morte di Regeni,
è sotto gli occhi di tutti. Eppure nemmeno l’attenzione internazionale
sembra scalfire il regime...
«La vita è sempre più dura e la gente
è sotto pressione: anche perché da una parte il regime la ricatta,
dall’altra la confonde. Il messaggio che arriva continuamente è che se
non accettiamo quel che sta accadendo, se ci ribelliamo di nuovo,
l’Egitto finirà come la Siria. Dall’altra, i giornali sono pieni di
notizie assurde e complottiste. Il dramma è che la gente ci crede sempre
di più. Pensano che tutto sia frutto di cospirazioni: che perfino la
rivoluzione sia stata pagata da paesi stranieri per distruggere lo
Stato. Sì: la libertà in Egitto è sempre più in pericolo».