sabato 27 febbraio 2016

Repubblica 27.2.16
Se Orbán convoca il referendum
di Massimo Riva

L’UNIONE europea morirà di democrazia diretta? In attesa di vedere che cosa succederà con la chiamata alle urne degli elettori britannici, ecco che ora un nuovo referendum viene annunciato dal primo ministro ungherese. Quel Viktor Orbán che da tempo sta facendo il possibile e l’impossibile per far rinverdire nel suo Paese la nefasta stagione nazional- populista del famigerato ammiraglio Horthy. Non pago di aver fatto pesanti interventi restrittivi in tema di libertà di stampa e di informazione — per altro pavidamente tollerati dagli altri soci dell’Unione — ora l’infaticabile Orbán dice di voler ricorrere al principe degli strumenti della democrazia sul terreno più fertile per la demagogia: l’accoglimento dei migranti extraeuropei.
«È d’accordo sul fatto che, senza l’autorizzazione del Parlamento nazionale, l’Unione europea possa obbligare l’Ungheria ad accogliere ricollocamenti di cittadini stranieri sul suo territorio?». Questa la domanda che verrebbe rivolta agli elettori. Gli svizzeri, maestri in materia, dicono che il vero potere nei referendum sta dalla parte di chi pone l’interrogativo. Il caso ungherese ne è la conferma: con un quesito così formulato, non si possono avere dubbi sull’esito della consultazione.
A questo punto il problema si sposta da Budapest a Bruxelles. Che intendono fare le pregiate istituzioni comunitarie? Si spera che la scelta non sia quella di aprire una trattativa come s’è fatto con l’inglese Cameron: perseverare sarebbe diabolico. Qualcuno, piuttosto, dovrebbe approfittare dell’occasione per ricordare all’Ungheria che quello dell’Unione non è un bancomat dove si esercita soltanto un comodo diritto di prelievo. Gli oltre cinque miliardi e mezzo di euro che Budapest riceve da Bruxelles sono un aiuto generoso ma anche un vincolo ad accettare le regole comuni. Quando il nostro premier ha richiamato questo elementare principio, Viktor Orbán ha parlato di «ricatto politico». Come definire allora il suo referendum: un’estorsione?