sabato 27 febbraio 2016

Repubblica 27.2.16
Can Dundar.
“La mia prigionia ha fatto conoscere al mondo la Turchia della censura”
Il direttore del giornale Cumhuriyet in carcere dopo lo scoop sui traffici di armi verso l’Is protetti dai servizi di Ankara parla dopo il rilascio
di Marco Ansaldo

«QUALE sarà il titolo della nostra prima pagina? Naturalmente “Grazie, signor Presidente”. Grazie per l’aiuto che ci ha dato mettendoci in prigione e portando il caso del passaggio segreto di armi dalla Turchia alla Siria sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale».

Ride ora Can Dundar, il direttore del quotidiano Cumhuriyet, libero dopo 92 giorni in cella passati assieme al capo della redazione di Ankara, Erdem Gul. E l’ironia del titolo sul suo giornale brucia tremendamente a Tayyip Erdogan, che si è visto sorpassare da una decisione della Corte Costituzionale: la detenzione dei due giornalisti vìola i «diritti individuali, la libertà di espressione e di stampa». La Presidenza della Repubblica schiuma rabbia, se si leggono le parole del portavoce Ibrahim Kalin: «Questa decisione non è un’assoluzione. Il caso resta aperto. La presidenza turca lo segue da vicino. Quando i Paesi occidentali prendono misure in casi simili, vengono definite come parte della lotta al terrorismo. Distorsioni dello stesso tipo non possono essere accettate in Turchia», ha concluso Kalin paragonando la vicenda a WikiLeaks e riferendosi ai casi fatti emergere da Julian Assange e Edward Snowden.
Adesso Can Dundar è tornato al suo giornale, portato in trionfo da tutta la redazione su un pullman che alle due dell’altra notte l’ha prelevato dal carcere alla periferia di Istanbul.
«Grazie. Grazie a voi di Repubblica che avete pubblicato il mio articolo dalla prigione e il nostro appello alla libertà di stampa in Turchia».
L’avrebbe fatto ogni giornalista. Come ha saputo la notizia del vostro rilascio?
«Ci siamo trovati fuori. E ieri era il deserto, oggi il paradiso. Per me è cambiato il mondo. Ogni cosa ora ha un colore. E la libertà è come l’acqua quando hai sete».
Come ha speso questo periodo dentro?
«Scrivendo. Articoli per la stampa internazionale e un libro sui miei giorni nella prigione di Silivri. Poi ho letto molto».
Che cosa?
«Tutto quello che avevo saltato prima (ride ancora, ndr): il Don Chisciotte di Cervantes, libri di autori che hanno fatto la galera, scrittori turchi».
La reazione della Presidenza della Repubblica non è stata esattamente positiva. Si parla di contrasti interni nel partito al potere, fra Erdogan e il suo predecessore Abdullah Gul. A lei che pare?
«Forse è andata così. E comunque è Erdogan ad averci messo dentro. Poi oggi è il suo compleanno. Siamo felici di festeggiarlo con questa decisione, con un regalo per lui. Il suo portavoce ci ha paragonato ad Assange, però non è corretto: il fondatore di WikiLeaks non è un giornalista. Noi invece abbiamo l’obbligo di fare il nostro mestiere ».
Dunque ripubblicherebbe lo scoop che ha rivelato il traffico di armi dalla Turchia alla Siria su camion protetti dai servizi segreti turchi, e che vi è costato il carcere?
«Abbiamo seguito molto quella storia, ma ci siamo dovuti fermare. Quel servizio ha mostrato il coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in Siria. Ora sappiamo quanto questa trama sia importante».
Come vede la situazione della stampa da voi?
«Per la maggior parte non è libera. Ha grosse difficoltà di carattere politico ed economico. Dunque, per me, provare la solidarietà dei media collocati all’opposizione è stato confortante. E l’appoggio della stampa mondiale è stato sorprendente, questo il governo turco non lo ha potuto arginare. Così Erdogan ci ha fatto diventare degli eroi. Davvero grazie, signor Presidente».