Repubblica 27.2.16
Sul confine greco blindato il deposito delle anime respinte dai nuovi muri
La Macedonia ferma ormai quasi tutti i migranti della rotta balcanica
Così nell’ultimo lembo del territorio ellenico, siriani afgani e iracheni si ammassano nei campi
di Matteo Pucciarelli
IDOMENI.
Il ”deposito delle anime” — l’espressione spettrale agitata dal governo
greco al resto d’Europa se Atene verrà lasciata sola a gestire
l’emergenza dei profughi — esiste già ed è qui, al confine tra la Grecia
e la Macedonia. Dove il muro di filo spinato tirato su da Skopje ha
fatto meno rumore di quello eretto da Viktor Orbán in Ungheria, ma sta
avendo la colpa (o il pregio, per molti altri) di caricare su un solo
paese gli effetti dell’esodo moderno.
È quasi ora di cena e se
visto da lontano il campo profughi che ospita circa tremila persone
sull’ultimo lembo del territorio ellenico è immerso nel silenzio e nel
buio, quasi inghiottito. Ma basta avvicinarsi e ci si ritrova in un suk
dove, a dispetto delle peripezie, un gruppo di ragazzi riesce anche a
ballare una musica tradizionale siriana. È un accampamento di disperati
che si è trasformato in un piccolo paese, con fuori anche i camioncini
che vendono i panini e i taxi che sperano di caricare qualcuno per la
Serbia.
Il bilancio di fine giornata è questo: novecento nuovi
arrivati dal resto della Grecia, solo ottantasette rifugiati fatti
passare dalla frontiera macedone. Idomeni è ormai il deposito delle
anime respinte, famiglie e cittadini siriani, pachistani, iracheni,
ghanesi e afgani che non hanno alcuna possibilità di proseguire il
viaggio verso i paesi dei loro sogni: Austria, Germania, Svezia.
Irida
ha 46 anni, è greca e lavora con una associazione di solidarietà di
Salonicco, da due settimane si trova qui e fa di tutto: cucina, sistema i
posti letti, offre consulenza burocratica. Ma soprattutto, va su tutte
le furie con grande facilità e non sembra avere torto: «Tre giorni fa i
nostri vicini di casa macedoni hanno avuto la grande idea di respingere,
da allora in avanti, tutti, e dico tutti, gli afgani. È una nazionalità
che di fatto, non si sa secondo quale criterio e con quale colpa, non
avrà mai più diritto di cittadinanza e di asilo in Europa».
La
motivazione ci sarebbe: in Afghanistan ufficialmente la guerra non c’è
più. Bisogna avere lasciato tantissima sfortuna alle spalle, tipo un
conflitto nel cortile di casa propria ancora in corso, per avere la
fortuna di passare dalle forche caudine dei controlli macedoni. Ragione
per la quale tutti gli afgani vengono caricati sui pullman e riportati
ad Atene, dove sui campi da calcio non si gioca più perché, uno dietro
l’altro, stanno subendo la variazione di destinazione d’uso: trasformati
in tendopoli.
La lunga trafila dei migranti per tentare di
passare la frontiera comincia alle nove del mattino, si sta per ore in
fila e — sempre se non si è afgani e si ha uno straccio di documento da
mostrare — si confida nel giudizio in realtà sempre più inflessibile
degli ufficiali: «Questo permesso non è valido », «questo passaporto è
falso», «dov’è il documento del bambino?».
Nel grande deposito
delle anime del campo profughi di Idomeni la pioggia è una pessima
notizia perché così non si può dormire fuori dalle tende ormai
stracolme, come è accaduto spesso negli ultimi giorni, e quindi —
raccontano i volontari — familiari e bambini si sistemano capo e piedi.
Altri però arrivano all’accampamento in tarda serata e dormono per terra
lo stesso, sull’asfalto, sul ciglio della strada che porta al campo.
Sono coperti solo dai propri impermeabili.
Una famiglia invece si è
costruita una “casa” così: quattro staccionate di ferro sfollagente
legate a formare un quadratone — quelle che altrove si utilizzano sotto
il palco dei concerti — e sopra chuse da un telo di plastica: la bambina
più piccola di due anni piange a squarciagola, fa freddo. Qui non fa
più notizia, ma il personale di Medici senza frontiere fa le trasfusioni
anche per i più piccoli, alcuni hanno l’anemia, provati dopo giorni e
giorni di un viaggio affrontato nelle condizioni più disperate.
Grevena,
Mourgani, Tempi, Kozani: in queste settimane i campi di accoglienza
nascono come funghi in tutto il paese. Altri depositi di anime che
stanno in piedi con sempre maggior fatica: i posti letto realmente
disponibili in tutta la Grecia sarebbero ventimila, ma ventimila sono i
migranti che sbarcano sulle coste ogni settimana. Il resto dei paesi
della rotta balcanica — Serbia, Croazia, Slovenia e poi Austria e Nord
Europa — hanno già deciso di limitare ad appena 580 il numero di coloro
che possono oltrepassare i rispettivi confini ogni giorno. Una goccia
nel mare e nel male d’Europa dove l’importante è girarsi dall’altra
parte.
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A Idomeni sono già in tremila
Ogni giorno quasi mille arrivi, solo uno su dieci riesce a passare la
frontiera Nelle tende non c’è più posto, chi arriva tardi dorme per
terra. Poi al mattino tutti in coda al controllo documenti