Repubblica 26.2.16
Il fisico Giorgio Parisi
“Ecco perché quel centro è una bella ciliegina ma senza la torta sotto”
“Nella
struttura troveranno lavoro mille persone? Ma negli ultimi anni ne
abbiamo perse tra le 10 e le 15mila, che oggi si trovano all’estero”
intervista di E. D.
ROMA.
Giorgio Parisi è uno dei più autorevoli fisici del mondo. Dal 1992 fa
parte dell’Académie des sciences francese e dal 2003 della National
academy of Sciences americana. Eppure ha scelto di rimanere a Roma, alla
Sapienza, per insegnare e fare ricerca. La lettera da lui promossa e
pubblicata su
Nature il 3 febbraio (“Chiediamo all’Unione europea
di spingere i governi a mantenere i fondi per la ricerca al di sopra dei
livelli di sussistenza”) ha ricevuto quasi 50mila firme. Ieri Giorgio
Parisi ha riempito l’aula Amaldi della Sapienza con il convegno da lui
organizzato “Salviamo la ricerca”.
Cosa pensa dell’Human Technopole?
«Che
è una fantastica ciliegina sulla torta per la ricerca del nostro Paese.
Peccato che manchi la torta. Non ho nulla in contrario al progetto
annunciato per Milano, ma la situazione dell’altra ricerca, quella
pubblica, in Italia è drammatica. Lo Human Technopole darà lavoro a
mille ricercatori? Ma noi negli ultimi anni ne abbiamo persi fra 10 e
15mila, che oggi lavorano all’estero. In alcuni dipartimenti del Cnrs
francese, nel campo della meccanica statistica che è quello di cui mi
occupo, i ricercatori italiani hanno superato per numero quelli locali».
Quali sono i numeri della crisi?
«Dalla
media 2005-2008 al 2014 abbiamo perso il 20% degli studenti
immatricolati all’università, e come se non bastasse sono state tagliate
le borse di studio. Il fondo per il finanziamento ordinario che lo
stato eroga agli atenei è calato del 22%. Tra il 1996 e il 2013 ci è
stato tagliato un miliardo di euro. I docenti sono diminuiti del 17% e
il numero di corsi offerti del 18%. Una situazione simile si era
registrata prima d’ora solo in caso di guerre o cambi di regime».
Cosa chiede nella petizione su Nature?
«L’Italia,
nel 2000 e nel 2002, aveva aderito al trattato di Lisbona e agli
obiettivi di Barcellona. Si era impegnata con l’Europa, cioè, a
finanziare la ricerca con almeno il 3% del Pil, fra fondi pubblici e
privati. Poi tutti si sono dimenticati di questa promessa. Nella lettera
chiediamo che l’Europa usi con i fondi per la ricerca lo stesso rigore
che usa per farci rispettare i vincoli di bilancio».
Scrive anche che perdiamo ogni anno 300 milioni di euro. Che vuol dire?
«Che
diamo all’Europa 900 milioni all’anno in contributi per la ricerca, ma
riusciamo a vincere bandi solo per 600 milioni. Questo non perché i
nostri ricercatori non siano bravi, ma perché sono pochi».