venerdì 26 febbraio 2016

Repubblica 26.2.16
Il trasformismo e i diritti di libertà
di Stefano Folli

COMUNQUE la si voglia valutare nei dettagli, la riforma Cirinnà approvata ieri dal Senato è di quelle destinate a scrivere la storia del costume, facendosi ricordare ancora fra qualche decennio. Era accaduto lo stesso con il divorzio, che spaccò il Paese in forme drammatiche, assai più di oggi, ma poi fu assimilato dal buon senso degli italiani con una rapidità che sorprese molti politici pessimisti.
Tutto lascia pensare che avverrà lo stesso con le unioni civili. La legge interessa una porzione di opinione pubblica certo più esigua rispetto alla platea che all’inizio degli anni Settanta attendeva con ansia l’istituto del divorzio, ma i diritti di libertà non si misurano dal numero dei beneficiari. Se un nuovo diritto si afferma, specie dopo un percorso sofferto e tortuoso, è la cultura civile dell’intera nazione che compie un passo avanti. E il fatto che il testo definitivo della Cirinnà sia il frutto di un compromesso all’interno della maggioranza che sostiene il governo Renzi, nulla toglie alla novità giuridica che sta per entrare nel nostro ordinamento.
Per restare al paragone con il divorzio, anche allora oltre quarant’anni fa ci furono gli scontenti. Da un lato, il mondo cattolico contestò la normativa laica con rimostranze persino più aspre delle polemiche che investono oggi governo e Parlamento. Polemiche sfociate nel referendum del 1974 che lacerò il tessuto del Paese con esiti politici molto negativi per chi, all’interno della Dc, aveva ceduto alla deriva clericale. Dall’altro lato, si disse che la legge Fortuna-Baslini era troppo blanda e complicata, e che troppo lungo era il periodo di separazione previsto prima di ottenere la sentenza di divorzio (cinque anni). Gli argomenti usati dai più intransigenti del fronte divorzista contro l’accordo “al ribasso” ricordano da vicino i dubbi e il disagio manifestato oggi da molti esponenti laici e delle comunità omosessuali, delusi per lo stralcio delle adozioni e per altri ritocchi che tendono a marcare la differenza fra unione e civile e matrimonio.
Tuttavia quest’ultima distinzione è imposta dalla Costituzione e, quanto al resto, ci penserà l’evoluzione dei tempi a correggere le imperfezioni o, se si vuole, i limiti della nuova legge. Proprio come è accaduto con il divorzio: dai cinque anni di attesa degli anni Settanta si è arrivati ai sei mesi di oggi se la separazione è consensuale. In altre parole, le polemiche non sempre sono giustificate, anche quando sono dettate da un’impazienza personale. E sebbene esista tuttora un ritardo della legislazione italiana rispetto a certi standard europei, una riforma che introduce nuovi diritti civili costituisce un titolo di merito per il governo che è riuscito laddove altri governi, anche nel recente passato, hanno fallito.
S’intende che sarebbe molto meglio se qualcuno misurasse le parole, se non altro per non sfidare il ridicolo. Vero è che i politici hanno bisogno di parlare al loro elettorato, ma c’è un limite al buongusto. Per cui il ministro Alfano, che ritiene di aver vinto la sua battaglia e ci tiene a farlo sapere, non esita a rivendicare di aver fermato «un’operazione contro natura». Un’espressione che potrebbe appartenere al lessico di sessant’anni fa. Ma c’è anche l’organizzatore del “Family Day” che ammonisce Renzi: «ce ne ricorderemo». Di cosa? Del fatto che secondo lui sono stati istituiti i matrimoni gay. La maggioranza del mondo cattolico non sembra pensarlo, ma è vero che una piccola pattuglia parlamentare, da Formigoni a Sacconi, ieri non ha votato la fiducia.
Quanto a Renzi, la sua frase di giubilo è degna dell’involucro di un cioccolatino: «Ha vinto l’amore ». In realtà ha vinto un certo realismo politico. Nel quale trova un posto di assoluto rilievo il gruppo di Denis Verdini, decisivo nel voto di fiducia. Verdini ha dimostrato ancora una volta di essere un più abile giocatore dei Cinque Stelle, rimasti con un pugno di mosche. Il suo è autentico trasformismo parlamentare, tuttavia molto astuto. È entrato di fatto nella maggioranza (benché lo neghino sia i renziani sia i non renziani, come il ministro Orlando), ma ha usato la porta dei diritti civili, ossia un ingresso virtuoso. Una riforma progressista e significativa per nascondere l’allargamento della maggioranza a un gruppo controverso, ma ben determinato a giocare un ruolo di qui alla fine della legislatura.