venerdì 26 febbraio 2016

Corriere 26.2.16
Un esito che fa rispuntare il partito della nazione
di Massimo Franco

Implica una doppia novità, l’approvazione ieri sera al Senato della legge sulle unioni civili, che ora va alla Camera per il sì finale. La prima, di natura sociale, riguarda i diritti alle coppie di fatto: un risultato storico, seppure raggiunto ponendo una controversa questione di fiducia. La seconda, politica, è l’ingresso nella maggioranza di governo della pattuglia dell’ex berlusconiano Denis Verdini. L’impatto di questo innesto è velato dalla decisione del M5S di uscire dall’aula al momento del voto. I fautori della riforma hanno avuto buon gioco nel sostenere che Ala, il gruppo di Verdini, si è aggiunto a Pd e Ncd.
Difficilmente questa risposta metterà a tacere le polemiche. Palazzo Chigi pensava di avere 176 voti, mentre ne sono arrivati tre in meno. E Forza Italia e Lega vorrebbero che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, convocasse Matteo Renzi al Quirinale per prendere atto dell’allargamento dell’esecutivo. La confusione è accentuata dal fatto che Verdini dice di essere stato decisivo, mentre il capogruppo pd Luigi Zanda lo nega. In più, da sponde opposte alcune organizzazioni del Family Day e alcune associazioni di omosessuali esprimono il proprio disappunto.
Le prime, perché temono che le unioni civili aprano comunque la strada a un simil-matrimonio e alle adozioni; le seconde, perché è stata esclusa dalla legge appunto la possibilità di adottare, rendendo più aleatori gli effetti delle norme. Sono strascichi inevitabili quando avviene uno strappo così forte: anche se in questo caso i veleni sono stati aumentati da tattiche parlamentari esposte a continue forzature e a calcoli elettorali. Un Renzi trionfante sostiene che ieri è stata vissuta una «giornata che resterà nella storia».
È già archiviata la marcia indietro che ha portato il Pd a passare dall’appoggio al testo di Monica Cirinnà e all’intesa con Beppe Grillo, all’accordo con Ncd. Il suo leader, Angelino Alfano, era e rimane tra i più ostili. E, sebbene vincitore, ieri ha sciupato il risultato ottenuto, sostenendo di avere «bloccato una rivoluzione contronatura»: frase che gli ha attirato critiche comprensibili. A Renzi premeva di più costringere il M5S a non votare le unioni civili, rimettendolo ai margini dopo avere rischiato di cadere in trappola. È entrato al Senato da sinistra, e ne è uscito dalla parte opposta.
La coalizione che ha votato la legge somiglia molto, infatti, a quel «partito della Nazione» che appare e scompare nelle alchimie renziane. Gli avversari parlano di «nascita del governo Renzi-Verdini», con la minoranza del Pd angosciata ma impotente. È una conferma dell’abilità manovriera del vertice dem; e di una spregiudicatezza che garantisce la navigazione in Parlamento. Ma se l’accordo col M5S serviva a «coprirsi» a sinistra in vista delle amministrative di giugno, Renzi dovrà dare segnali meno oscillanti e meno prepotenti.