Repubblica 25.2.16
La scienza all’Expo e la favola del pifferaio
Perché è sbagliato dare fondi a istituzioni private mentre la ricerca muore
Una
 scelta schizofrenica: da un lato si tagliano le risorse, dall’altro si 
mettono in cantiere iniziative come questa che spingeranno le équipe a 
rivolgersi al Re Mida di turno
Sembra l’annuncio del pifferaio 
magico ma in realtà è la toppa glamour messa sul futuro delle aree 
costruite per l’esposizione universale
di Elena Cattaneo
«QUELLA
 di Human Technopole è una sfida complicata e difficile, ma ciò che sta 
accadendo è che dopo anni di ambizioni al ribasso la possibilità di 
avere il meglio viene finalmente messa in cantiere». Queste parole non 
sono state dette ad Hamelin dal pifferaio magico. Le ha pronunciate ieri
 a Milano il Presidente del Consiglio, presentando il progetto a suo 
dire “petaloso” per fare dell’ex area Expo un centro di ricerca di 
rilevanza mondiale. Progetto per il quale si investiranno un miliardo e 
mezzo di euro nei prossimi dieci anni. Risorse pubbliche, di tutti. La 
narrazione del premier in tema di politiche sulla ricerca fa sorgere il 
dubbio di essere spettatori della famosa favola dei fratelli Grimm.
Investire
 in innovazione e ricerca significa, nel mondo liberaldemocratico, dare 
spazio al confronto tra idee, per poi selezionare le migliori a 
beneficio di tutti.
PER farlo, prima ancora di scegliere su cosa e
 chi puntare le risorse, servono una programmazione e una valutazione 
terza, competente e indipendente delle proposte. Questa è politica per 
la ricerca. Il resto è un grande spot fondato sull’improvvisazione.
Che
 alla politica interessi e percepisca il valore di investire in ricerca 
in Italia è una favola a cui non crede più nessuno. Non è però questo il
 problema più grave. Peggio sono l’inaffidabilità, l’intermittenza, «la 
dispersione e la frammentazione» (cito il ministro Giannini) di quanto 
viene stanziato, i metodi di erogazione, cioè le procedure opache e con 
obiettivi vaghi di assegnazione dei finanziamenti, le valutazioni in 
itinere ed ex-post praticamente assenti. Il tutto condito da 
preoccupante approssimazione politica. La stessa con cui si passa, 
indifferentemente, dalle public calls (i bandi pubblici) alle phone 
calls (le assegnazioni via telefono), o ai fondi top- down, assegnati 
dal decisore politico direttamente al beneficiario. E alla comunità 
scientifica che punta sulle idee anziché sulle relazioni privilegiate 
restano i bandi Prin, Firb e briciole varie.
I bandi per i 
Progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) sono stati sbloccati lo
 scorso dicembre dopo tre anni di stallo, coprono tutte le aree del 
sapere con solo 92 milioni di euro per progetti di durata triennale. 
Oltre 4.400 quelli presentati. Dai revisori reclutati dai ministeri si 
ricevono tre righe di commento, spesso in contraddizione tra loro. Un 
abisso rispetto alle accurate valutazioni, ad esempio, delle revisioni 
dei bandi Telethon. Con i Prin 2015, poi, scopriamo che si può proporre 
il progetto anche in italiano. Scelta insensata per le discipline 
scientifiche, trattandosi di ricerche il cui valore si giudica su scala 
internazionale.
I vincitori dei Prin otterranno in media fondi per
 pagare la ricerca di un solo giovane ricercatore. Stop. Con queste 
risorse irrisorie i ricercatori lavorano per ottenere dati necessari per
 essere competitivi nei bandi europei. Si spiega così perché riportiamo a
 casa solo 8 dei 13 miliardi che diamo all’Europa. Al fondo per gli 
investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur sono stati
 destinati 58,8 milioni di euro nel 2016, con una riduzione di circa due
 milioni ogni anno fino al 2018. Con questa quota il Miur finanzierà sia
 i Prin sia il Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb). 
Quindi a voler essere ottimisti, se un altro bando ci sarà, sarà al 
ribasso.
La legge di Stabilità 2016 ha tolto al Miur anche i fondi
 destinati a iniziative per la diffusione della cultura scientifica. 
Erano circa 10 milioni (ossia 20 volte meno rispetto ad altri paesi 
europei) ma nei prossimi tre anni si ridurranno ulteriormente del 40%. 
Scelta non proprio lungimirante visto il tasso di alfabetizzazione 
scientifica del Paese. È di poche settimane fa, poi, l’assegnazione di 
21 milioni di euro al Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura, 
per il Piano triennale di ricerca agricola (il piccolo Lussemburgo 
investe nove volte di più), senza alcun bando pubblico per l’utilizzo di
 questi fondi.
Non solo si taglia ma si è schizofrenici 
nell’erogazione: ai bandi Prin non possono accedere direttamente 
studiosi del Cnr, ai bandi del ministero della Salute per gli Irccs non 
possono applicare i ricercatori universitari, poi ci sono i bandi Cnr 
per il solo Cnr, etc. Eppure gli obiettivi di ricerca spesso sono gli 
stessi.
E mentre la ricerca agonizza, spunta lo Human Technopole. 
Il presidente del Consiglio lo ha tirato fuori dal cilindro mesi fa 
definendolo “centro di ricerca mondiale su sicurezza alimentare, qualità
 della vita, ambiente” e affidandone (alla cieca) la gestione 
all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, fondazione di 
diritto privato. Per cui, mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se
 esisterà un bando Prin 2016, un ente di diritto privato avrà garantiti 
150 milioni di euro all’anno per dieci anni (ma allora le risorse ci 
sono!). Lo stesso a cui sono erogati da anni (sono già oltre 10) 100 
milioni all’anno. Preziose risorse pubbliche che vengono stanziate dal 
governo di turno “senza accorgersi” che in buona parte sono accantonate 
in un tesoretto (legale ma illogico) che oggi ammonterebbe a 430 
milioni. Risorse pubbliche per la ricerca “dormienti” depositati presso 
un fondo privato. Il progetto sul post-Expo è l’esempio più emblematico,
 tra i tanti possibili, delle distorsioni per fini politici, 
dell’improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi 
pubblici per la ricerca. Un finanziamento top-down che crea una nuova 
corte dei miracoli (a prescindere che si chiami Iit) presso la quale c’è
 già chi si è messo a tavola.
L’Iit dice che non farà tutto da 
solo. Recluterà, con i soldi pubblici, ricerche (cioè idee) di altre 
istituzioni. Deciderà a chi e come distribuire i finanziamenti. Quali 
spazi assegnare e a chi. In altre parole l’Iit riceve e ri-eroga fondi 
pubblici, come un’Agenzia di finanziamento, come già in diversi casi 
succede ora (basta leggere i dati pubblici), quando ogni studioso 
avrebbe il pieno diritto di accedere ai fondi direttamente alla fonte 
pubblica, con l’idea di cui è depositario, senza pagare pegno al Re Mida
 di turno. Le collaborazioni tra idee e gruppi sono abituali nella 
scienza e si sanciscono “alla pari” senza svendere le proprie idee a 
intermediari dell’erogatore pubblico.
Dieci anni fa il Gruppo 
2003, gli scienziati italiani più citati al mondo, proponeva la nascita 
di una “Agenzia nazionale della ricerca”. Da allora la discussione 
sull’Agenzia langue. Per escogitare Human Technopole è bastata 
l’ispirazione estemporanea di un giorno. Per pianificare l’investimento 
decennale di un miliardo e mezzo di risorse pubbliche è bastata 
l’urgenza di mettere una “toppa glamour” al dopo Expo. Servirebbe, 
invece, mettere un limite all’arbitrio della politica, che dovrebbe solo
 scegliere gli obiettivi da perseguire. Si lasci alla libera e 
meritocratica competizione tra idee la selezione dei mezzi migliori per 
raggiungerli.
La comunità scientifica ha finito con l’appellarsi 
all’Europa con la petizione pubblica “Salviamo la ricerca italiana” per 
superare una condizione di pura sussistenza e assurdità. Mai come ora si
 sente il peso della propaganda politica, della spettacolarizzazione che
 tutto divora, compresa la speranza dei più giovani.
Elena Cattaneo è docente all’Università Statale di Milano e senatore a vita