Repubblica 25.2.16
Verdini schiera i suoi 19 “Matteo ci ha chiamato a questo punto ormai siamo in maggioranza”
Ala verso il primo sì ma non entrerà nel governo I consensi aggiuntivi non saranno decisivi
di Tommaso Ciriaco
ROMA.
«Renzi ha chiamato, noi rispondiamo. Dal palco del Pd ci ha
riconosciuto dignità politica, noi adesso votiamo la fiducia su una
legge giusta come quella sulle unioni civili». Pragmatico come sempre,
Denis Verdini percorre l’ultimo miglio che lo separa dalla maggioranza
sventolando la bandiera dei diritti. E nel giorno che precede il gran
passo, non risparmia lezioni di politica ai parlamentari che lo
incrociano. «Certo che la fiducia è un segnale. Di fatto, sancisce
l’ingresso in maggioranza. Ma non significa che faremo parte del
governo, questo non accadrà». Voterà il ddl Cirinnà, si farà alfiere dei
diritti civili. «E d’altra parte - ha scherzato qualche giorno fa con
il suo fedelissimo Luca D’Alessandro - se impazziamo che ci sarebbe di
male a crescere assieme i nostri figli?».
Il telefonino dell’ex
berlusconiano squilla fin dal mattino. Se si esclude un rapido pranzo
con la moglie, Verdini non si ferma un minuto. Mattone dopo mattone,
costruisce il ponte che lo conduce al premier. «Vabbè - fa la sintesi
Ugo Sposetti - se uno vota la fiducia entra in maggioranza. Peccato che
così cambia pure la natura del Pd...». Un ingresso soft, in linea con
l’imprinting ultra laico del leader di Ala: «Lo sapete - scherza con i
suoi - sui diritti civili sono più a sinistra della sinistra...». Il
piano originario, a dire il vero, prevedeva un percorso differente:
sostegno all’esecutivo in occasione dei tornanti più complicati, ma
nessun disco verde alla fiducia fino al referendum costituzionale. «E
invece... Vabbè che siamo impresentabili - sorride Vincenzo D’Anna - ma
Renzi poteva almeno chiederci i voti...».
E invece il momento
giusto è adesso, ha dettato la linea “Denis”. Salvo clamorosi colpi di
scena, proprio oggi la pattuglia di senatori verdiniani pronuncerà in
coro il “sì” al ddl Cirinnà, al termine di una riunione del gruppo
convocata di buon mattino. «Lo diciamo da tempo che siamo favorevoli a
questa legge - riflette Ignazio Abrignani - Pensi che lo avremmo votato
anche se ci fosse stata la stepchild». Certo, Ala non risulterà
determinante per approvare il provvedimento, ma soltanto per superare la
maggioranza assoluta di 161 voti. E certo, per questo ddl è richiesta
solo la maggioranza semplice. Ma a fine giornata il pallottoliere di
Palazzo Madama farà comunque un certo effetto. Conti alla mano, il Pd
porterà in dote tutti i suoi voti, visto che in bilico c’è solo Luigi
Manconi. I maldipancia del Nuovo centrodestra, inoltre, si tradurranno
in poche defezioni: «Io e altri tre o quattro - spiega al telefono
Roberto Formigoni - non voteremo la fiducia». Oltre all’ex governatore
lombardo, Maurizio Sacconi, Nico D’Ascola, Antonio Azzollini e Giuseppe
Marinello. Assieme ai 110 dem, ai 27 alfaniani e a tutti i 19
parlamentari di Ala (è rientrato anche il dissenso di Giuseppe Ruvolo),
approveranno il testo 15 senatori delle Autonomie, 3 di Gal (Naccarato,
Donghia e Davico), 3 del Misto (Della Vedova, Bencini e Romani): 177 in
tutto. Una somma che non tiene conto delle tre senatrici di Flavio Tosi:
«Avremmo votato a favore - giura Patrizia Bisinella - ma purtroppo
siamo ospiti d’onore a un convegno in Sicilia...». L’area del non voto e
dei contrari, invece, si fermerà a quota 137. Se anche i verdiniani
votassero tutti contro, insomma, la legge sarebbe al sicuro grazie alla
non partecipazione al voto di alcuni senatori di Ncd.
Dalla
fiducia, giurano i parlamentari di Ala, non si tornerà comunque
indietro. La stessa sensazione di Verdini, che ieri - a un certo punto
della giornata - si è ritrovato tra le mani una dichiarazione di
Pierluigi Bersani («Ala e la fiducia? Un voto di coscienza...»). «Se
neanche lui ci attacca, allora è fatta...».