La Stampa 25.2.16
La corsa per conquistare i moderati
di Federico Geremicca
In
ossequio al vecchio motto secondo il quale il meglio è nemico del bene,
Matteo Renzi ieri ha festeggiato e definito «un fatto storico»
l’accordo raggiunto in materia di unioni civili. L’affermazione è
tecnicamente corretta, anche se non azzera - naturalmente - la quantità
di obiezioni e distinguo (sia di merito sia di metodo) che stanno
accompagnando l’intesa raggiunta all’interno della maggioranza di
governo.
Nessuna legge in materia, del resto, avrebbe mai potuto
fare il pieno dei consensi nel Paese dei guelfi, dei ghibellini e delle
piazze ancora recentemente contrapposte: e infatti, una legge che
tutelasse i diritti delle «coppie di fatto» e di quelle omosessuali,
l’Italia non l’aveva mai avuta. Da questo punto di vista, insomma, la
soddisfazione del Presidente del Consiglio è comprensibile: anche se la
questione di fiducia posta su un testo inerente addirittura i diritti
civili non è certo un bel vedere.
Ma c’è anche un altro aspetto di
questa controversa vicenda - un aspetto stavolta tutto politico - dal
quale Matteo Renzi può forse trarre soddisfazione: ed è il segnale
lanciato all’opinione pubblica moderata (da sempre maggioranza in questo
Paese) con l’abbandono della cosiddetta stepchild adoption. E’ vero, il
premier aveva puntato fino all’ultimo su una intesa col Movimento di
Beppe Grillo per approvare una legge che sancisse anche la possibilità,
per una coppia omosessuale, di adottare il figlio del partner: ma appena
saltato l’accordo con i Cinque Stelle, non ha avuto dubbi sulla via da
seguire. E incoraggiato da non pochi sondaggi, al salto nel buio di una
battaglia a colpi di voti segreti, ha preferito cambiare cavallo e
blindare con la fiducia una nuova intesa con la parte cattolica e
centrista della sua maggioranza.
Del resto, per Matteo Renzi
parlare al ventre molle del Paese, all’Italia moderata e di destra delle
grandi periferie, è sempre stato un chiodo fisso: che non di rado lo ha
reso popolare e cool più all’esterno che all’interno del suo partito.
«Senza i voti di centrodestra - ripeteva fin dai tempi delle sue
primarie - il Pd non vincerà mai le elezioni». E ogni volta che gliene
si presenta l’occasione - che siano gli show di Maria De Filippi o, come
ieri, la settimana della moda di Milano - non perde tempo e getta ponti
verso mondi tradizionalmente lontani dalla sinistra.
L’esigenza
di parlare a quella metà del Paese - un tempo la si sarebbe forse
definita «maggioranza silenziosa» - è per altro ulteriormente cresciuta
in ragione della crisi politica e di rappresentanza delle forze
tradizionali di centrodestra. Secondo ogni sondaggio, infatti, vasti
settori di elettorato fino a ieri fedeli a Forza Italia - parliamo di
milioni e milioni di elettori - sono confusi e tentati dall’astensione:
si tratta di un «territorio di caccia» per la cui conquista ogni mezzo
diventa buono.
Matteo Salvini, per dire, vi esercita da tempo il
suo «populismo padano» fatto di iperboli spesso inaccettabili (ieri è
riuscito a definire «islamica» la Consulta e «non benvenuto» Juncker in
Italia); e Beppe Grillo non disdegna incursioni che spesso disorientano e
dividono il suo elettorato tradizionale. E’ proprio sulla capacità di
attrarre consensi in quell’area, infatti, che si giocheranno e
decideranno le prossime sfide elettorali: ed è per questo che Renzi -
nonostante le critiche che salgono dalla minoranza del suo partito - non
intende lasciar campo ai suoi avversari.
Ogni occasione,
dicevamo, è buona: compresa l’opera di «spionaggio americano» ai danni
di Silvio Berlusconi. Non sono infatti passati inosservati i toni e la
rapidità d’intervento del governo sulla delicatissima questione.
«Vogliamo spiegazioni» ha subito intimato il presidente del Consiglio. E
ieri Maria Elena Boschi ha rincarato la dose: «Inaccettabile».
C’entrano, certo, il rispetto e la lealtà che si dovrebbero a un capo di
governo alleato. Ma c’entra anche la consapevolezza che certi toni e la
difesa dell’autonomia nazionale piacciono molto a larga parte del Paese
e non possono esser lasciati agli avversari politici.
Sono i toni
che da qualche mese Matteo Renzi riserva alle politiche europee ed ai
suoi «burocrati»; ed è l’inedita fermezza che in queste ore caratterizza
la risposta alle rivelazioni arrivate da WikiLeaks. Cercare di
conquistare l’elettorato deluso da Berlusconi difendendo Berlusconi, può
apparire un azzardo. L’ennesimo, in fondo, di una premiership che non
finisce di sorprendere e dividere.