Repubblica 24.2.16
L’allarme.
La Casa Bianca: “Agiremo ogni
volta che verrà individuata una minaccia diretta” Renzi: “Roma farà la
sua parte con gli alleati” Si affaccia la prospettiva della partizione
del paese
Libia, sfuma il piano Onu pronto l’intervento l’Italia prepara la missione servono 5mila soldati
di Gianluca Di Feo
ROMA
NELLA STESSA giornata in cui Italia e Stati Uniti si confrontano sullo
spionaggio del governo di Silvio Berlusconi, ponendo la questione di
principio sul rispetto della sovranità nazionale, i due paesi cercano
insieme una difficile intesa sul modo di affrontare la più grave
minaccia terrorista mai sorta nel Mediterraneo: il radicamento del
Califfato in Libia.
Il tempo per la diplomazia si sta rapidamente
consumando. Anche ieri il parlamento di Tobruk ha rinviato il voto
sull’esecutivo unitario nato dalla mediazione delle Nazioni Unite e
ormai nelle capitali occidentali si spegne la fiducia nel successo
dell’iniziativa benedetta dall’Onu. Così Washington, Roma, Parigi e
Londra stanno lavorando freneticamente a una soluzione alternativa, un
piano B con un solo punto certo: l’espansione del feudo jihadista in
Libia va fermata, anche a costo di rassegnarsi a una divisione
sostanziale del paese. Brett McGurk, l’uomo a cui Barack Obama ha
affidato la lotta contro lo Stato Islamico, è tornato a sottolineare la
preoccupazione della Casa Bianca. Gli americani non sono disposti ad
assistere alla crescita delle brigate libiche con la bandiera nera, che
«tentano di attrarre quanti più combattenti stranieri» dal Maghreb e
dall’Africa centrale. Per niente intimoriti dal bombardamento
statunitense della scorsa settimana, i miliziani islamici hanno
attaccato di nuovo le installazioni petrolifere distruggendo due grandi
depositi di greggio a Sida. L’obiettivo di queste incursioni è chiaro:
azzerare l’unica risorsa che finanzia le istituzioni libiche rivali e le
formazioni locali che si oppongono al Daesh. La premessa per costruire
il caos totale e imporre il dominio del Califfato.
Così gli
alleati europei si stanno allineando alla nuova posizione della Casa
Bianca: «Agiremo ogni volta che verrà individuata una minaccia diretta».
Una dichiarazione che in pratica permette di attaccare qualunque base
dell’Is. E alla quale per la prima volta sembra avvicinarsi anche Matteo
Renzi, che ieri ha detto «se ci sono iniziative contro terroristi e
potenziali attentatori dell’Is, l’Italia farà la sua parte insieme con
gli alleati ».
Dal punto di vista militare, la macchina dei raid è
già in azione. C’è una ricognizione aerea continua, condotta dai droni
americani e italiani che decollano da Sigonella; da quelli francesi che
perlustrano l’area desertica del Fezzan e da quelli britannici che
partono da Cipro. Altri velivoli spia, inclusi i nostri Amx schierati a
Trapani, scattano foto e monitorano le comunicazioni radio grazie ad
apparati a lungo raggio, che gli permettono di restare fuori dallo
spazio aereo libico. Una sorveglianza che avrebbe permesso di
selezionare circa duecento potenziali bersagli.
Ma l’Italia al
momento resta ancorata alla sua posizione iniziale: non è disposta a
partecipare ad azioni su larga scala senza una cornice legale, ossia la
richiesta di un governo riconosciuto a livello internazionale. E senza i
nostri aeroporti, non è possibile una campagna aerea su vasta scala. La
scorsa settimana, gli F-15 statunitensi che hanno raso al suolo il
comando di Sabratha sono decollati dalla Gran Bretagna: una missione che
richiede almeno sei rifornimenti in volo di carburante per arrivare
sull’obiettivo e tornare indietro. Per questo il Pentagono ha dovuto
accettare il diritto di veto della Difesa italiana pur di utilizzare la
pista di Sigonella per i pattugliamenti dei droni armati durante i raid
delle forze speciali. I blitz di Navy Seal e Delta Force richiedono una
sorta di scorta volante, pronta a proteggere la ritirata, che può
partire solo dalla Sicilia. In questo modo, però, il nostro governo avrà
la certezza di essere informato di ogni attacco condotto dagli
incursori statunitensi e potrà pronunciarsi sui bersagli da colpi- re o
meno. L’unica garanzia per evitare di venire spiazzati dall’iniziativa
di altre nazioni, come accadde nel 2011 con l’operazione
franco-britannica contro Gheddafi.
Ma nessuno si illude: una
manciata di bombardamenti e colpi di mano isolati non riuscirà a fermare
la crescita del Califfato. Per sconfiggerlo servono truppe di terra:
soldati libici con un sostegno occidentale. E bisogna trovare un governo
riconosciuto che legittimi questo “sostegno”. Ed ecco materializzarsi
il “piano B”: l’ipotesi che sta rapidamente prendendo piede tra Roma e
Washington è quella di abbandonare il parlamento di Tobruk e l’armata
del generale Haftar — che stanno soffocando anche il secondo tentativo
dell’Onu — per puntare sull’altra compagine, quella di Tripoli. Al
momento è una sorta di “ultima minaccia”, per cercare di sbloccare le
resistenze di Tobruk ma potrebbe trasformarsi in fretta in un’opzione
concreta. Con un ribaltamento di fronti: mentre a Tripoli il potere è in
mano a formazioni islamiche più o meno moderate, il governo rivale
aveva ispirazione laica e supporto occidentale. E con la prospettiva di
dividere il paese in tre entità principali, che ricalcano l’antica
organizzazione amministrativa ottomana: Tripolitania, Cirenaica e
Fezzan. Una soluzione che potrebbe placare anche le potenze regionali,
come Egitto, Turchia, Qatar ed Emirati.
Nella storica capitale
verrebbero concentrati gli sforzi per debellare lo Stato islamico.
Mobilitando le altre milizie più combattive, come lo schieramento di
Misurata. E schierando in Tripolitania un contingente occidentale che
contribuisca a difendere le infrastrutture chiave per la sicurezza e la
ripresa economica: porti, aeroporti, oleodotti, terminal petroliferi.
Una missione rischiosa, che verrebbe affidata all’Italia: il piano
elaborato da oltre un anno che prevede «fino a cinquemila soldati». Se
ne è parlato tante volte, ma adesso la macchina militare e diplomatica
sta accelerando. Perché lo Stato islamico avanza ogni giorno: ieri sera
ci sono stati combattimenti proprio alle porte di Tripoli.