il manifesto 24.2.16
Libia
Ma quale «difesa», i droni a Sigonella sono da attacco
MQ-1 Predator e MQ-9 Reaper sono armi letali da «first strike»
di Antonio Mazzeo
Droni
killer a Sigonella per bombardare le postazioni Isis in Nord Africa. La
notizia, ancora una volta, arriva dall’altra parte dell’oceano. The
Wall Street Journal, citando una fonte ufficiale delle forze armate Usa,
ha rivelato che da circa un mese il governo italiano ha autorizzato il
decollo di droni armati statunitensi dalla stazione aereonavale di
Sigonella in Sicilia per effettuare «operazioni militari contro lo Stato
islamico in Libia e attraverso il Nord Africa».
Sempre secondo il
quotidiano, il via libera da parte del governo Renzi sarebbe giunto
«dopo più di un anno di negoziati» e con una alcune limitazioni alle
regole d’ingaggio. «Il permesso sarà dato dal governo italiano ogni
volta caso per caso e i droni potranno decollare da Sigonella per
proteggere il personale militare in pericolo durante le operazioni
anti-Isis in Libia e in altre parti del Nord Africa», scrive il Wsj.
L’amministrazione
Obama avrebbe tuttavia richiesto l’autorizzazione a operare dalla
Sicilia anche per missioni offensive, dato «che sino al mese scorso i
droni Usa schierati a Sigonella erano solo per scopi di sorveglianza».
Le
autorità italiane hanno confermato le rivelazioni Usa ma la versione
soft-difensiva sui velivoli senza pilota è assai poco credibile; inoltre
è tutt’altro che vero che i droni-killer operino da Sigonella solo da
un mese a questa parte. I sistemi di volo automatizzati in mano alle
forze armate Usa sono i famigerati MQ-1 Predator e MQ-9 Reaper, armi
letali da first strike, in grado d’individuare, inseguire ed eliminare
gli obiettivi «nemici» grazie ai due missili aria-terra a guida laser
AGM-114 «Helfire».
Questi droni sono stati impiegati negli ultimi
dieci anni per più di 500 attacchi in Afghanistan, Pakistan, Iraq,
Siria, Yemen e Libia con oltre 4.200 vittime. L’ultimo strike con i
droni-killler è stato effettuato la settimana scorsa contro un presunto
«campo d’addestramento» delle milizie filo-Isis a Sabratha, in
Tripolitania, vicino al confine con la Tunisia.
Secondo
Washington, il raid avrebbe causato la morte di una trentina di
jihadisti tra cui il tunisino Noureddine Chouchane, ritenuto uno dei
responsabili degli attentati effettuati lo scorso anno al Museo del
Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Il campo di Sabratha (ad una ventina
di chilometri dal terminal gas di Melitha gestito dall’Eni) è stato
colpito da missili aria-terra lanciati da alcuni bombardieri Usa
decollati dalla Gran Bretagna e da Predator o Reaper presumibilmente di
stanza proprio a Sigonella, come riferito da alcuni organi di stampa
internazionali.
I Predator Usa erano stati impiegati da Sigonella
per le operazioni di guerra in Libia nella primavera-estate 2011. Un
rapporto dell’International Institute for Strategic Studies di Londra
sulle unità alleate impegnate nell’operazione «Unified Protector», aveva
documentato come a partire della metà dell’aprile 2011 due squadroni
dell’Us Air Force con droni-killer erano stati trasferiti nella base
siciliana. I primi raid furono effettuati il 23 aprile contro una
batteria di missili libici nei pressi del porto di Misurata; un secondo
raid fu sferrato invece a Tripoli il giorno seguente contro un sistema
anti-aereo «SA-8».
Da allora l’uso della base di Sigonella come
piattaforma di lancio dei droni Usa non ha conosciuto interruzioni e le
operazioni sono state estese a tutta l’Africa sub-sahariana, alla
Somalia, allo Yemen e più recentemente anche alla Siria.
Nel
maggio 2013, l’Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di
collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato
della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari
Esteri, pubblicò uno studio sui velivoli senza pilota statunitensi a
Sigonella in cui si documentò la presenza di «non meno di sei Predator
Usa da ricognizione e attacco». «I droni temporaneamente basati a
Sigonella hanno fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità
americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si
presentassero delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del
Sahel», scriveva l’Osservatorio.
«Ai tumulti della Primavera Araba
che hanno portato alla caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia ha
fatto seguito un deterioramento della situazione di sicurezza culminato
nel sanguinoso attacco al consolato di Bengasi e nella recente crisi in
Mali, dove la Francia ha lanciato l’Operazione Serval. In considerazione
di tale situazione, la Difesa Italiana ha concesso un’autorizzazione
temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a
Sigonella».
Anche allora si tentò comunque di edulcorare la
pillola dei droni-killer con il Parlamento e l’opinione pubblica.
«Concedendo le autorizzazioni, le autorità italiane hanno fissato
precisi limiti e vincoli alle missioni di queste specifiche
piattaforme», aggiungeva il rapporto. «Ogni operazione che abbia origine
dal territorio italiano dovrà essere condotta come stabilito dagli
accordi bilaterali in vigore e nei termini approvati nelle comunicazioni
135/11/4a Sez. del 15 settembre 2012 e 135/10063 del 17 gennaio 2013».
Nello
specifico, si potevano autorizzare solo le sortite di volo volte
all’«evacuazione di personale civile, e più in generale non combattente,
da zone di guerra e operazioni di recupero di ostaggi» e quelle di
«supporto» al governo del Mali «secondo quanto previsto nella
Risoluzione n. 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Le
forze armate Usa sarebbero state tenute ad informare le autorità
italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività. Mistero fitto
però sul modo in cui si potrà mai impedire a Washington di utilizzare
Sigonella per operazioni contrarie alla Costituzione o agli interessi
strategici nazionali.