mercoledì 24 febbraio 2016

La Stampa 24.2.16
La rivolta delle donne contro la supermulta per l’aborto clandestino
Reato depenalizzato, multa 200 volte più salata. Un appello a Renzi
di Grazia Longo


Un passo avanti e due indietro. Mentre avanza - seppur a fatica e con lo stralcio delle adozioni - la discussione sulla legge per le unioni civili tra gli omosessuali, si assiste a una limitazione per le donne su un importante diritto acquisito come l’aborto.
Il decreto legislativo del 15 gennaio scorso ha depenalizzato l’interruzione di gravidanza clandestina, ma al contempo ha innalzato le sanzioni. Si passa così dalla cifra simbolica di 51 euro (le vecchie 100 mila lire stabilite dall’articolo 19 dalla legge 194 del ’78) a un’ammenda pecuniaria tra 5 mila e 10 mila euro. La conseguenza è evidente: le donne esiteranno sia ad andare in ospedale in caso di complicazioni, sia a denunciare chi ha praticato l’operazione al di fuori dalle strutture pubbliche.
Ma la protesta non si è fatta attendere. Sia sui social media, a partire da Twitter con #obiettiamolasanzione e #apply194, sia attraverso una lettera aperta al premier. Titti Carrano, presidente dell’associazione Dire (Donne in rete contro la violenza, a cui fa riferimento la maggior parte dei centri antiviolenza del nostro Paese) ha scritto una lettera a Matteo Renzi per correggere il «gravissimo errore dell’inasprimento delle sanzioni, ignorando completamente le ragioni per cui la legge 194 comminava una multa simbolica, ovvero permettere alle donne di denunciare i “cucchiai d’oro” che praticavano aborti illegali e, soprattutto, permettere loro di andare in ospedale al primo segno di complicazione senza rischiare la denuncia».
Il messaggio di Dire è inequivocabile. Si chiede al presidente del consiglio di intervenire affinché «questo gravissimo errore venga corretto subito per evitare conseguenze incalcolabili». Tanto più che la percentuale dei ginecologici obiettori di coscienza è altissima. «Arriva al 70% - stigmatizza Titti Carrano - con punte fino all’82% in Campania, del 90% in Basilicata, del 93,3% in Molise e del 69% in Lombardia». E come se non bastasse c’è anche l’emergenza dell’obiezione di struttura. «Nel 40% dei reparti di ginecologia e ostetricia italiani il servizio viene erogato a spizzichi.  La drammatica conseguenza è il turismo abortivo e il dilagare delle interruzioni di gravidanza clandestine». Una situazione al limite, tanto da attirare anche l’attenzione del Consiglio d’Europa. A proposito dell’elevato numero di obiettori di coscienza nel nostro Paese ha ribadito: «Si tratta di una violazione dei diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla 194 del 1978 intendono interrompere la gravidanza».
Tra le discriminazioni di genere denunciate nella lettera aperta al premier c’è inoltre lo spinoso tema dei finanziamenti ai centri antiviolenza. «Quelli per gli anni 2013 e 2014 sono pari a quasi 17 milioni di euro, assegnati alle regioni, ma di cui non si conosce l’impiego nel dettaglio - conclude la presidente di Dire -. Mentre quelli per il 2015 sono addirittura ancora bloccati. E non ci è dato sapere quando e come verrano erogati. Del resto come stupirci considerato che il rimpasto di governo non ha previsto neppure il ministro alle Pari opportunità?».
Nel frattempo il popolo della Rete insorge e si assiste a un costante tweetbombing a favore di un nuovo decreto legislativo sulle sanzioni economiche per l’aborto clandestino e sull’incremento dell’educazione alla contraccezione.