lunedì 22 febbraio 2016

Repubblica 22.2.16
Il prezzo dello stralcio
Il governo sembra aver preso atto che è troppo rischioso forzare la situazione
di Stefano Folli

DAL voto secondo coscienza al voto di fiducia. Così sulle unioni civili si chiude il cerchio. Il Pd non ne esce con un attestato di coerenza, se davvero questo sarà l’epilogo. Ma gli infortuni parlamentari si pagano, specie quando i numeri esigui restringono i margini di manovra.
POCHI giorni fa, come molti ricordano, il partito del presidente del Consiglio tentò di forzare i tempi a Palazzo Madama con l’idea di abbattere la maggior parte degli emendamenti alla legge Cirinnà attraverso la tecnica parlamentare del “canguro”: operazione fallita a causa della posizione assunta dai Cinque Stelle. Ieri Renzi ha preso atto della realtà, preoccupandosi di salvaguardare la maggioranza. Il che vuol dire cercare un accordo con Alfano e Verdini, ma anche con il gruppo dei cattolici all’interno del partito. E si sa cosa vogliono gli uni e gli altri: l’abbandono del punto cruciale relativo alle adozioni omosessuali. Per la verità, i neo-centristi di Verdini non ne fanno una questione etica o pregiudiziale: il loro è un gioco politico, un’abile modalità di inserimento progressivo. Più i numeri di Renzi traballano, più l’appoggio dei verdiniani diventa essenziale e condizionante. Almeno al Senato. Questa strada permette di consolidare i confini della coalizione, ma ovviamente il prezzo da pagare è appunto la rinuncia alle adozioni. Poi il Pd potrà presentare un’altra proposta di legge in materia, tanto per salvare la faccia, ma è un’altra storia. Le adozioni sarebbero rinviate di alcuni anni. In cambio, avremmo le fatidiche unioni civili perché il nuovo patto di maggioranza le renderebbe rapidamente disponibili. E questo è il vero salto di qualità politico e giuridico, questo è ciò che vuole l’Unione europea. Secondo tale linea di giudizio, le adozioni possono attendere, considerando anche lo scarso favore dell’opinione pubblica nonché le resistenze del mondo cattolico e forse non solo cattolico.
Anche l’appello al governo dei quattrocento personaggi pubblici sarebbe in buona misura soddisfatto dalla rapida approvazione della tavola dei diritti, dopo tante attese. In altre parole, Renzi sembra aver preso atto che è troppo rischioso forzare la situazione. Le adozioni sono diventate il piombo nelle ali di una legge che altrimenti sarebbe già stata approvata. Nemmeno questo era scontato, come sa chi conosce la storia tormentata dei Dico e constata i ritardi italiani in Europa. Ma impuntarsi sul nodo delle adozioni è ormai controproducente per chi vuole davvero e in fretta le unioni civili.
S’intende che il Pd è ancora in tempo a percorrere l’altra strada. Ossia andare in aula con il testo Cirinnà, magari corretto in qualche aspetto, e affrontare la battaglia degli emendamenti. Qualcuno passerà, molti saranno respinti. Le incognite sarebbero molte e alla fine non si sa quale profilo definitivo avrebbe la legge. C’è anche il caso che essa passi con il corredo delle adozioni. Naturalmente il Movimento Cinque Stelle, con Di Maio, si è detto favorevole a questa soluzione, da cui ricaverebbe il massimo di centralità parlamentare. Ed è altrettanto ovvio che la minoranza del Pd ha le stesse preferenze: eviterebbe la saldatura fra Renzi, Alfano e Verdini e inoltre esporrebbe il governo alle vicissitudini di decine o centinaia di votazioni.
Il realismo spinge invece il presidente del Consiglio verso la prima ipotesi. Si è perso già troppo tempo intorno alle unioni civili: perderne dell’altro, con gli infiniti problemi aperti sul tavolo del governo, rischia di essere intollerabile per l’opinione pubblica. S’intende che lo stralcio delle adozioni, comunque lo si voglia presentare, è un successo per i centristi di Area Popolare e per i cattolici del Pd. In linea generale, Renzi avrebbe preferito evitare il compromesso, specie per come ci si è arrivati: ma l’uomo sa quando la corda sta per spezzarsi. E sulle unioni civili il limite era stato raggiunto, soprattutto a causa degli errori di valutazione commessi in Parlamento.