lunedì 22 febbraio 2016

Repubblica 22.2.16
Le due facce di Matteo
Il premier è un outsider ma anche aspirante leader della sinistra in Europa
di Marc Lazar

ALL’ASSEMBLEA del Pd Renzi ha annunciato, tra l’altro, di voler mobilitare il Partito Socialista Europeo per cambiare la politica economica dell’Ue. E in vista di quest’obiettivo, aspira alla leadership di tutta la sinistra europea. Un’ambizione immensa, ma con quali prospettive di riuscita?
NON si nasce leader, lo si diventa. Ora, la figura di Matteo Renzi si presenta, fin dal suo debutto in politica, con due volti diversi: da un lato quello dell’outsider, un uomo che non appartiene alla “casta” politica, culturale, economica e finanziaria, italiana o europea. E non perde occasione per ricordarlo, spesso in modo provocatorio, come di recente con Mario Monti. D’altro lato, intende essere un leader politico a pieno titolo, ben deciso a riformare e a portare avanti un disegno storico per il suo partito, il suo Paese e l’Europa.
Anche per la sinistra socialdemocratica europea, Renzi ha due facce. Agli occhi dei socialisti tradizionalisti appare un po’ sospetto, dato che non proviene dai ranghi del socialismo, bensì dal mondo democristiano, del quale peraltro non ha le caratteristiche. Oltre tutto il Pd — nato dalla fusione di correnti della sinistra Dc, del Pci e in misura assai minore dal socialismo — è estraneo alla lunga storia dei partiti socialdemocratici e socialisti, risalente al XIX secolo. D’altra parte, Matteo Renzi, che nel 2014 ha fatto rientrare il suo partito nel Pse, sta realizzando da due anni un’esperienza seguita da vicino dalla sinistra europea.
Quest’ultima si divide in tre grandi tendenze. La prima postula un ritorno all’età dell’oro delle socialdemocrazie, con le ricette abituali, sostenute però dalle moderne tecniche di partecipazione e comunicazione, secondo il modello di Jeremy Corbyn in Gran Bretagna. La seconda concorda sulla necessità di modernizzare la sinistra, restando però fedele alla tradizione socialdemocratica: è il caso di tanti socialisti francesi, o dei membri del Pd ostili al presidente del consiglio. La terza sostiene la necessità di uscire dagli schemi del socialismo, che ormai non significherebbero più granché, per portare avanti un riformismo di tipo nuovo. Renzi appartiene a quest’ultimo gruppo, e i suoi supporter lo sostengono spesso con entusiasmo. Di fatto, a questo punto il suo progetto di legge sulle unioni civili, sempreché lo porti fino alla fine senza alterarne il significato, le sue critiche all’Unione Europea e il suo impegno per ottenere un allentamento del rigore economico potrebbero valergli il sostegno di tutta la sinistra riformista, e anche quello dei gruppi più a sinistra, sia in Italia che in Spagna, in Francia o in Grecia. Matteo Renzi potrebbe allora diventare la figura di riferimento della sinistra in Europa — anche a fronte dell’impopolarità di François Hollande, delle difficoltà incontrate da Pedro Sanchez per costituire un governo a Madrid e degli insuccessi di Alexis Tsipras in Grecia? O addirittura approfittare della fase perigliosa attraversata, per ragioni diverse, da Germania, Francia e Spagna, i principali Paesi dell’Europa continentale, nonché dall’esito imprevedibile del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa, per assurgere al rango di grande leader europeo?
Numerosi sono gli ostacoli, molte le debolezze. L’autorità di Renzi è contestata da un Pd diviso, che dovrà affrontare scadenze elettorali dall’esito incerto. Le riforme che ha varato non hanno ancora prodotto tutti i loro effetti, e la loro efficacia è tuttora da valutare. Le previsione economiche non sono esaltanti. Infine, l’Italia è lontana dall’aver risolto gli innumerevoli problemi strutturali che minano la sua credibilità. E tuttavia… Se le dichiarazioni di Renzi sull’Europa possono piacere, o al contrario destare inquietudine, hanno però il merito di porre ancora una volta due questioni fondamentali: quale politica deve adottare l’Ue? E cosa può fare la sinistra per l’Europa?
( Traduzione di Elisabetta Horvat)