lunedì 22 febbraio 2016

Repubblica 22.2.16
Il silenzio
Quei preti pedofili protetti dalla Chiesa nella casa sul mare
In sala dal 25 “Il club” di Pablo Larrain: la vita senza castigo dei sacerdoti cileni sottratti alla giustizia terrena
È l’altra faccia, quella nera e vergognosa, del film americano “Il caso Spotlight”
Feriscono le parole che decrivono l’abuso subìto come un avvicinamento alla fede
di Natalia Aspesi

“VENIVANO a prenderci… la bocca mi faceva male… poi mi dava una mentina e faceva meno schifo… diceva, sei stato con un messaggero del Signore, è la strada per la Santità”. Della lunga tremenda litania che il vagabondo che dice di chiamarsi Sandokan grida verso il cielo, la terra, il mondo, Dio, non si riesce a ripetere altro, anche in tempi di parole spericolate, ed è forse già troppo. È un’ossessione affannosa, certamente indecente, dura da sopportare, cantata come una nenia dall’uomo che da bambino è stato abusato da chi si era preso cura della sua solitudine, del suo bisogno d’amore, di famiglia: un sacerdote.
È Sandokan a sconvolgere la vita quieta e protetta degli abitanti anonimi di un’anonima casa gialla isolata vicino a La Boca, sulle coste cilene, quando, accompagnato da un prete, arriva un nuovo ospite, anche lui in età, ammutolito dalla disperazione e dalle sconnesse parole di Sandokan che gli ricorda il suo inferno e gli chiede ancora amore, quel tipo d’amore che lui confonde con la santità. La casa, come tante altre nel mondo, è il rifugio, la prigione, l’ospizio dei preti spretati perché peccatori per la fede cattolica e criminali per la legge; la Chiesa li nasconde per sottrarli alla giustizia terrena affinchè nessuno sappia e il suo imperio non solo spirituale non ne venga sporcato.
Il club, vincitore dell’Orso d’argento alla Berlinale 2015 (però escluso dai finalisti stranieri all’Oscar) del venerato regista cileno non ancora quarantenne Pablo Larrain, è l’altra faccia, quella nera e vergognosa del film americano Il caso Spotlight già nei nostri cinema, dove si racconta la vera storia di un gruppo di giornalisti del
Boston Globe che nel 2001-2002 riuscì a rendere pubblici i tanti casi di preti pedofili nordamericani fino ad allora protetti dalle gerarchie. Larrain ci mostra invece la vita dei colpevoli dopo che la Chiesa li ha scoperti e allontanati ma non denunciati: non solo i troppi pedofili, ma anche i preti che commerciavano vendendo ai ricchi i bambini strappati ai poveri, o gli ex cappellani dell’esercito di Pinochet, che coprirono in silenzio torture e assassinii. La loro casa sta sopra una spiaggia piena di rifiuti, davanti a un mare in tempesta, in un grigiore costante e gelido, mai il colore del sole e neppure quello delle ombre. Li serve e li sorveglia una ex suora dal passato cupo: il suo costante sorriso, la dolcezza mite, il suo umile servire nascondono un cuore di tenebra, una volontà ricattatrice, un’abitudine a mentire. Mentono tutti, i quattro anziani ospiti della casa, quando padre Lazcano, il nuovo arrivato, si spara: alla polizia, a padre Garcia (Marcelo Alonso), il gesuita dal bel viso tormentato e dalla fede punitiva che pare un santo dipinto da El Greco, mandato da Roma per capire cosa è successo, e soprattutto per chiudere quella e le altre case lasciando gli ospiti al loro destino. Ma padre Vidal (Alfredo Castro, attore preferito da Larrain), padre Silva, padre Ortega, padre Ramirez, serviti da sorella Monica (Antonia Zegres, moglie del regista), si sono abituati a quella vita protetta, mangiare, cantare, pregare, dire messa, passeggiare sulla spiaggia, allevare un levriero con cui vincono alle corse locali. Una bella vita serena, senza pentimento, senza castigo, senza ricordi, senza peccato, senza redenzione, in piena impunità. Una vita da difendere per non affrontare la realtà dei loro crimini, una vita nascosta e secolare che li ha resi più bugiardi, più indifferenti, privandoli di ogni misericordia, di ogni bisogno di espiazione e perdono, anche della fede.
Il Vaticano ha giudicato positivo Il caso Spotlight che racconta benissimo una realtà già nota, e per ora non è insorto contro questo Il club, che con crudeltà e ironia espone una sua tragica piaga che Papa Francesco sta cercando di guarire, la scelta ipocrita del silenzio verso i sacerdoti pedofili. Del resto nel marzo 2014, quindi solo due anni fa, il cardinale Bagnasco aveva pubblicamente ricordato che secondo le linee guida della Cei, i vescovi, non essendo pubblici ufficiali, non erano obbligati a denunciare alla giustizia i casi di pedofilia “per rispetto delle vittime e dei loro familiari”.
Pablo Larrain è autore di una trilogia molto politica, da festival, situata ai tempi della dittatura di Pinochet ( Tony Manero, Post mortem, No). Cattolico ma non più praticante, si dichiara di sinistra mentre i suoi genitori sono stati sostenitori della dittatura, il padre presidente del Senato di allora, la madre ministro. Il club non ha immagini che possano scandalizzare (il solo nudo è quello di una donna, una prostituta) ma le parole che descrivono minuziosamente l’atto pedofilo subito come un avvicinamento alla fede possono ferire. Però si tratta di un film di grande seduzione, girato e interpretato benissimo, cui non si dovrebbe rinunciare.
Pablo Larrain “Il club” suo quinto film e vincitore dell’Orso d’argento al festival di Berlino nel 2015