Repubblica 21.2.16
La neo-mamma e il veterano i volti dell’America che spera in Bernie
di Thomas Piketty
Come
interpretare l’incredibile successo del ”socialista” Bernie Sanders
alle primarie americane? Tra i simpatizzanti democratici sotto i 50 anni
d’età, il senatore del Vermont ha ormai superato Hillary Clinton, che
si mantiene in vantaggio solo grazie ai più anziani. A fronte della
macchina clintoniana e del conservatorismo dei grandi media, forse
Bernie non riuscirà a vincere le primarie. Ma è ormai provato che in un
prossimo futuro un altro Sanders, sicuramente più giovane e meno bianco,
potrà vincere le presidenziali americane e cambiare la faccia del
Paese. Per molti aspetti assistiamo alla fine del ciclo politico-
ideologico aperto dalla vittoria di Ronald Reagan alle elezioni del
novembre 1980.
Facciamo un passo indietro. Tra gli anni 1930 e
1970 gli Stati Uniti portano avanti un’ambiziosa politica di riduzione
delle disuguaglianze. Nel periodo tra le due guerre - anche per
differenziarsi dal Vecchio Continente, le cui sperequazioni erano
percepite come eccessive e contrarie allo spirito democratico americano –
si adottano in America livelli di progressività fiscale sui redditi e
sulle successioni mai applicati sulla nostra sponda dell’Atlantico. Per
mezzo secolo - dal 1930 al 1980 – il tasso applicabile ai redditi più
elevati – oltre un milione di dollari l’anno – raggiungeva in media
l’82%, con punte del 91% tra gli anni 1940 e 1960 - da Roosevelt a
Kennedy. Ed era ancora del 70% al tempo dell’elezione di Reagan, nel
1980.
Questa politica non ha pregiudicato in alcun modo la
vigorosa crescita americana del dopoguerra, senza dubbio perché non
serve a molto pagare i manager 10 milioni di dollari piuttosto che un
milione. L’imposta di successione, rimasta per decenni altrettanto
progressiva - sui maggiori patrimoni i tassi erano dell’ordine del 70% -
80%, mentre in Germania o in Francia non si era mai superato il 30-40% -
ha fortemente ridotto la concentrazione dei patrimoni americani,
seppure non intaccati dalle guerre e dalle distruzioni che hanno colpito
l’Europa.
CAPITALISMO MITICO
Fin dagli anni 1930 gli Stati
Uniti hanno altresì istituito, assai prima dei Paesi europei, un salario
minimo federale, il cui livello (espresso in dollari del 2016) superava
i 10 dollari l’ora alla fine degli anni 1960: era di gran lunga il più
elevato in quel periodo, in un contesto pressoché privo di
disoccupazione, grazie anche al grado di produttività e al sistema
scolastico e formativo. Nello stesso periodo gli Stati Uniti pongono
finalmente termine alle discriminazioni razziali sancite da leggi
tutt’altro che democratiche, tuttora in vigore nel Sud del Paese, e
lanciano nuove politiche sociali. Ma tutto ciò suscita forti resistenze,
in particolare tra le élite finanziarie e le frange reazionarie
dell’elettorato bianco. Umiliata in Vietnam, l’America degli anni 1970
si sente rincorsa da vicino dai ritmi accelerati degli sconfitti della
Seconda guerra mondiale (Germania e Giappone in testa), e soffre inoltre
della crisi petrolifera, dell’inflazione e di un’inadeguata
indicizzazione dei parametri fiscali. Reagan cavalca queste
frustrazioni, e si fa eleggere nel 1980 con un programma che promette di
ristabilire il capitalismo mitico delle origini. Il punto cruciale è la
riforma fiscale del 1986, che pone fine a mezzo secolo di forte
progressività fiscale e riduce al 28% il tasso applicabile ai redditi
più elevati: una scelta che non sarà mai veramente riveduta dai
democratici degli anni di Clinton (1992-2000) e di Obama (2008-2016) che
stabiliranno l’aliquota intorno al 40%: la metà del livello medio del
periodo 1930-1980. E ciò sullo sfondo di un’esplosione delle
disuguaglianze e di remunerazioni mirabolanti, in un contesto di
crescita debole (anche se un po’ superiore a quella dell’Europa,
invischiata in altri problemi); e di redditi stagnanti della stragrande
maggioranza degli americani.
AGENDA PROGRESSISTA
Reagan
aveva deciso tra l’altro di congelare il salario minimo federale, che a
partire dagli anni 1980 sarà lentamente ma incessantemente eroso
dall’inflazione (non più di 7 dollari l’ora nel 2016, contro i quasi 11
del 1969). Anche su questo piano, il regime politico-ideologico
introdotto da Reagan è stato solo a malapena attenuato dall’avvento dei
democratici Clinton e Obama.
Il successo riportato oggi da Sanders
dimostra che buona parte dell’America è stanca delle crescenti
disuguaglianze e delle pseudo- alternanze, e aspira a riprendere le fila
dell’agenda progressista e della tradizione egualitaria americana.
Hillary Clinton, che nel 2008 si batteva a sinistra di Obama,
segnatamente sull’assicurazione sanitaria, appare oggi come sostenitrice
dello status quo, erede del regime politico Reagan- Clinton-Obama.
Bernie propone con chiarezza di ristabilire la progressività fiscale e
di portare il salario minimo a 15 dollari l’ora. E inoltre la gratuità
dell’assistenza sanitaria e dell’università, in un Paese ove la
disuguaglianza di accesso agli studi ha raggiunto livelli inauditi,
mettendo in evidenza un abisso rispetto alle rassicurazioni
meritocratiche dei premiati dal sistema.
Al tempo stesso, il
partito repubblicano si lancia in un discorso iper- nazionalista,
xenofobo e islamofobo, glorificando oltre ogni limite la figura del
ricco di pelle bianca. I giudici nominati sotto Reagan e Bush hanno
fatto saltare ogni limitazione legale all’ingerenza del denaro privato
in politica; e ciò rende davvero difficile il percorso di un candidato
come Sanders. Ma le nuove forme di mobilitazione politica e di
finanziamento partecipativo possono avere la meglio, e far entrare
l’America in un nuovo ciclo politico. Siamo lontani dalle tristi
profezie sulla fine della storia.
( Traduzione di Elisabetta
Horvat. Thomas Piketty è un economista francese specializzato nei temi
dell’ineguaglianza sociale. È autore di “ Il Capitale nel XXI secolo”)
Le
immagini di queste pagine sono di Ramak Fazel, fotografo americano che
ha a lungo vissuto a Milano: oltre al suo lavoro, porta avanti una
ricerca artistica con progetti in Iran, Italia e Usa