domenica 21 febbraio 2016

La Stampa 21.2.16
Gli italiani per scelta bussano alle nostre porte
di Maurizio Molinari

Vengono da 192 nazioni i 488.479 stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana nei primi 14 anni del nuovo secolo. Sono la cartina tornasole di un fenomeno esteso, destinato a mettere alla prova la nostra identità: si tratta degli italiani per scelta e non per nascita.
Nel Novecento l’identità nazionale italiana si è formata e consolidata attorno ai concetti di terra e sangue. Si diventava italiani perché venuti al mondo nello Stivale o perché genitori, nonni o antenati lo avevano fatto in precedenza. Per essere italiani bisognava parlare italiano e venire da famiglie italiane. Ora ci troviamo di fronte a qualcosa di assai differente. Uomini e donne nati e cresciuti in altri Paesi, appartenenti a culture diverse e distanti, scelgono di essere italiani.
Non si tratta solo di immigrati dall’Africa e dall’Asia che arrivano con i barconi sulle nostre coste alla ricerca di prosperità e sicurezza ma anche di australiani, americani, canadesi, giapponesi e brasiliani nati e cresciuti in alcune delle nazioni più ricche del Pianeta che per i motivi più diversi si sentono attratti dalla nostra cultura ed eredità.
Mi è capitato di imbattermi in questo fenomeno nelle aule del Dipartimento di italianistica della State University of New York a Stony Brook, a Long Island, trovandomi davanti ad un parterre di studenti che solo in parte erano italiani in senso tradizionale. Gli altri, la maggioranza, erano asiatici e afroamericani.
I docenti mi hanno spiegato che gli asiatici si avvicinano alla cultura italiana seguendo spesso la passione per la musica classica mentre gli afroamericani quasi sempre a causa dell’interesse nelle arti. Tutti amano il nostro Paese, lo identificano con creatività dell’intelletto e bellezze della natura. E vogliono esserne parte pur non avendovi, spesso, mai messo piede. Sono le nuove tecnologie dell’informazione digitale a rendere accessibili al pubblico globale - soprattutto alle nuove generazioni - ciò che più distingue l’identità italiana, e le conseguenze sono a pioggia: se il rapporto annuale del Viminale sui nuovi cittadini parla di 85.526 domande solo nel 2015, la radio italiana di Melbourne vanta di essere la più ascoltata nello Stato di Victoria e le richieste di classi nella lingua di Dante crescono dal Texas alla Florida è perché a cercare l’Italia non sono solo i nostri espatriati, ma chi italiano non è.
La possibilità di accedere in tempo reale, online, ad una galassia disordinata di immagini, suoni e notizie su ciò che il nostro Paese esprime - dalle arti alle lettere, dall’eredità della Storia ai paesaggi naturali - è all’origine di un fenomeno nuovo con cui siamo chiamati a fare i conti. Fuori dei nostri confini ci sono milioni di stranieri che vogliono essere come noi, italiani. Ciò offre grandi opportunità perché si tratta di potenziali consumatori dei nostri prodotti, culturali e commerciali. Per non parlare della possibilità di attirare manodopera qualificata nei campi più disparati. Ma si tratta anche di una temibile sfida perché ci impone di ripensare la nostra identità collettiva. Il concetto di «italiani all’estero» deve essere ridefinito includendo tutti coloro che scelgono di esserlo pur non rispondendo ai tradizionali criteri della cittadinanza. Il binario dell’identificazione è infatti diverso da quello del passaporto. Si può amare l’America senza essere americani ed oggi sappiamo - numeri alla mano - che lo stesso vale anche per il nostro Paese. Si tratta di una grande opportunità di sviluppo perché ci consegna la possibilità di dialogare, su scala globale, con una moltitudine di individui che non abbiamo mai incontrato o conosciuto.
Alcuni dei quali forse non verranno mai nel nostro Paese, ma vorranno comunque sentirsene parte pur rimanendo nelle loro case di Shanghai, Panama City, Istanbul o Raanana. Per raccogliere tale sfida, cominciando a valutare gli scenari che schiude, dobbiamo compiere un primo, indispensabile passo: ammettere che si può essere italiani solo per scelta.