Repubblica 21.2.16
“Ho obbligato l’Europa a guardare Lampedusa e il dramma dei migranti ”
di Arianna Finos
BERLINO.
«Penso a tutti quelli che hanno attraversato il mare per arrivare a
Lampedusa e a quelli che non ce l’hanno fatta ». Gianfranco Rosi stringe
l’Orso d’oro della Berlinale per
Fuocoammare e chiama il medico
Pietro Bartolo sul palco: «Mi ha insegnato che Lampedusa è un’isola di
pescatori, che accettano tutto quel che viene dal mare. Siamo tutti
pescatori e dobbiamo accettare tutti quello che viene dal mare ». La
sfida per il regista, già Leone d’oro con Sacro GRA, era «sradicare il
bombardamento di immagini quotidiane dei telegiornali, una realtà
narrata in termini di cifre a cui siamo assuefatti. Era importante
testimoniare la tragedia umana in corso». Tra le immagini più forti del
film, in sala dallo scorso giovedì, ci sono quelle dei cadaveri
ammassati sotto la stiva di un barcone. Rosi afferra il cellulare e
cerca tra le foto. «Ecco». Eccolo in tuta bianca mentre si cala nella
botola che sbuca sul pavimento del barcone dipinto di azzurro. In
un’altra foto è già sotto, la camera in spalla. «Quelli intorno alla
botola sono i bulloni, servono per sbarrare ogni via di uscita alle
persone che sono sotto. Il 15 agosto 2015 in quaranta sono morti
asfissiati a venti miglia dalla costa della Libia, dopo appena cinque
ore di navigazione. Nessuno racconta di loro ».
Lo ha fatto lei a Berlino, città che ha accolto solo quest’anno80 mila migranti.
«In
questi anni da Lampedusa sono passate 400 mila persone. Non è mai stato
considerato un fenomeno, ma qualcosa che l’Italia doveva risolvere da
sola. La scorsa estate tutto è cambiato e l’Europa si è improvvisamente
accorta che ci sono masse di persone in movimento. E ha iniziato a
reagire, purtroppo non bene. Un mio amico che vive qui da vent’anni mi
ha detto che anche la sinistra è terrorizzata, tutti sono contro la
Merkel. Mi fa paura anche la manipolazione politica: “Apriamo ai
siriani”. E tutti gli altri?».
In Austria è in vigore il tetto giornaliero e una serie di altre misure anti-immigrati.
«Lo
trovo vergognoso. Se l’Europa non riesce a fare i conti con una
politica europea e non nazionale, sarà la fine di tutto. La cosa che fa
più paura non sono i confini fisici, ma quelli mentali. Ciò che è
successo a Berlino qualche giorno fa, il pullman assediato dai passanti
che si sono accorti dei migranti all’interno, è vergognoso. Il direttore
della Berlinale Dieter Kosslick ha giustamente confessato il dolore per
qualcosa che lo riporta alla Germania di settant’anni fa».
Questo premio al Festival ha un significato politico forte.
«
Fuocoammare non è un film politico, non consegno giudizi o soluzioni. È
un grido di dolore. Ma la sua valenza politica è imprescindibile:
perciò era importante mostrarlo qui».
Nel film la vita degli abitanti e quella degli immigrati scorrono parallele senza incontrarsi.
«Sono
arrivato a Lampedusa per raccontare l’identità dell’isola, non volevo
che il film fosse solo un collettore di storie legate all’immigrazione.
Ho scoperto l’esistenza di due vite parallele. Non esiste un reale
incontro tra i pescatori e gli immigrati: Lampedusa non è più l’approdo
di chi arrivava e interagiva con gli abitanti. Ora i profughi vengono
presi in mare, c’è un controllo medico, un bus che li porta in centro,
si fermano lì per la prima identificazione. Ho seguito l’intero viaggio
di un gruppo di nigeriani dal soccorso sulla nave militare al trasbordo
sulla guardia costiera, lo sbarco a Lampedusa, l’arrivo in centro. È
nata così la scena in cui il giovane nigeriano con il suo rap racconta
l’orrore del viaggio, il deserto, la prigione in Libia, gli stenti.
Quando sono tornato al centro, tre giorni dopo, erano tutti spariti».
Qualcuno ha parlato di pornografia, di fronte alle immagini dei corpi nella stiva.
«Non
avrei mai voluto raccontare i morti, né li ho cercati. La tragedia del
barcone mi è arrivata addosso e non ho avuto scelta. Mi sono trovato di
fronte a quelle immagini e sarei stato ipocrita a non usarle. Il
comandante della nave mi ha spinto: “Devi andare sotto la stiva e
filmare. Sarebbe come trovarsi davanti alle camere a gas dell’Olocausto e
censurarsi perché le immagini sono troppo forti. Il film è un viaggio
emotivo verso quelle immagini necessarie. Nulla è gratuito, nessuno è
manipolato».
Quali reazioni ha avuto a Berlino?
«Un eritreo e
un somalo dopo la proiezione sono venuti ad abbracciarmi: “Grazie per
aver raccontato il nostro dramma”. Sono abituato al fatto che i miei
film dividono, stavolta non è successo. Magari c’è qualche voce di
dissenso, qualcuno ha urlato “pornografia”. Ma la critica e il pubblico
l’ha sostenuto e credo che sia anche arrivato l’amore con cui è stato
fatto. Spero di aver creato qualcosa che resti e aiuti a creare
consapevolezza. Non possiamo più fare finta di non sapere. Siamo tutti
responsabili».