Repubblica 1.2.16
Se la Merkel scopre le due Germanie
L’ondata migratoria ha messo in crisi il Paese e il disegno europeista
di Angelo Bolaffi
LA
GERMANIA divisa per quarant’anni in due Stati contrapposti era tornata
unita dopo la caduta del Muro di Berlino: oggi il traumatico impatto di
una epocale migrazione di popoli sta provocando una profonda lacerazione
del Paese. Allora, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a far
nascere “due Germanie” era stata la Guerra fredda. Oggi a terremotare le
coscienze tedesche e forse anche quello che, a ragione, è giudicato il
più solido sistema politico europeo è «il rendez- vous con la
globalizzazione »: così Wolfgang Schäuble ha lucidamente definito il
flusso di rifugiati iniziato alla fine della scorsa estate.
Dunque
la crisi del mondo ha raggiunto il Paese che ha avuto tra il 2008 e il
2014 il ruolo decisivo di governo e stabilizzazione dell’Europa scossa
prima dalla crisi economico-finanziaria, che aveva contrapposto i Paesi
del Sud a quelli del Nord del Vecchio Continente, e poi da quella
geo-politica provocata dalla “nuova Guerra fredda” sui confini orientali
dopo l’annessione della Crimea.
L’ONDATA migratoria ha messo in
crisi l’idea di una Germania baricentro dell’Europa e la svolta
repentina della politica tedesca in tema di immigrazione ha sollevato
dubbi e critiche (alcune pretestuose) da parte di altri Paesi europei.
Ma la vera novità rispetto al passato, quando le scelte politiche di
Angela Merkel per salvare l’euro e poi per non cedere alla Russia di
Putin avevano goduto del sostegno dell’opinione pubblica e delle
maggiori forze politiche del Paese, sta nella progressiva erosione di
quel consenso. Al punto da rendere credibile uno scenario fino a ieri
inimmaginabile: una crisi di governo e la fine del “regno” di colei che
la rivista Time definì la “Cancelliera del mondo libero”.
L’entusiasmo
di settembre, nel segno di una “cultura dell’accoglienza” della quale
pochi avevano ritenuto capaci i tedeschi, ha lasciato spazio ad un
disincanto quotidiano cha ha messo a dura prova l’impegno di
amministratori locali, organizzazioni di volontariato e coscienze dei
cittadini. Le violenze nella notte di Capodanno a Colonia hanno fatto il
resto. La convinzione che davvero «ce la faremo», come aveva affermato
la Merkel, non è più così granitica mentre si diffonde un senso di
impotenza e riemerge la violenza xenofoba, con oltre mille attentati
contro i centri di accoglienza dei nuovi arrivati. E l’attivismo di
gruppi neonazisti che cercano di infiltrare le manifestazioni di quanti,
soprattutto nelle regioni della ex Ddr, si oppongono ad una politica di
apertura e integrazione degli stranieri in nome di una difesa della
“germanicità” o di valori cristiano- borghesi minacciati, a loro modo di
vedere, dall’Islam dei nuovi arrivati.
La verità è che nel Paese
si contrappongono, provocando una crescente conflittualità politica e
spirituale, due “visioni del mondo”: una convinta non solo di governare
questo esodo carico di tragedie, ma anche che ciò rappresenti un obbligo
morale e una opportunità per il futuro della Germania che altrimenti la
demografia condannerebbe a un declino irreversibile. E l’altra dominata
da dubbi e paure, da pregiudizi ma anche timori concreti per il
benessere raggiunto e la vita quotidiana. E soprattutto dalla sensazione
di non essere più padroni del proprio destino, di cui è metafora la
perdita della sovranità sui confini nazionali. Ovviamente non tutti
quelli che si oppongono alle scelte politiche della Merkel sono
sospettati di razzismo. Come, d’altra parte, chi appoggia l’accoglienza è
consapevole che l’afflusso dovrà essere progressivamente ridotto. Per
questo il problema non è solo smascherare la campagna d’odio dei
gruppetti neonazisti: un compito impegnativo ma non impossibile. Ma è di
ben più ampia portata.
La Germania si trova dinnanzi ad una
svolta che non è enfatico definire epocale: come lo fu ai tempi di
Adenauer l’integrazione occidentale, il “miracolo economico” di Erhard,
l’istallazione dei Pershing voluta da Helmut Schmidt o la riunificazione
tedesca realizzata da Kohl. «Viviamo in un’epoca di grandi sfide» ha
affermato Angela Merkel ricordando ai concittadini che non c’è solo la
globalizzazione che fa comodo alla Germania, che le consente un surplus
economico grazie all’export. Quando Willy Brandt nel 1970 si inginocchiò
dinnanzi al monumento dedicato alla rivolta del ghetto di Varsavia
quasi la metà dei tedeschi, il 48% secondo Der Spiegel, ritenne quel
gesto sbagliato se non inutile. Ma così non fu: con quel gesto Brandt
fece fare pace alla Germania col mondo e aprì una nuova epoca della
storia tedesca. Oggi il Paese si trova di fronte ad un passaggio
analogo.
Tutt’intorno alla Germania la politica europea si è
progressivamente spostata da posizioni di centro verso movimenti
populisti e xenofobi. Se la Merkel non riuscirà nella scommessa di
guidare la società tedesca su posizioni cosmopolitiche di accoglienza e
integrazione non sarà solo lei ad uscire sconfitta. Se Berlino dovesse
decidere o essere costretta a chiudere i confini, ad andare in crisi non
sarà solo il trattato di Schengen ma l’intero disegno europeista subirà
un colpo probabilmente irreparabile.