Repubblica 19.2.16
Il mercante d’arte che rubava per Hitler
In un libro la saga dei Gurlitt: le opere confiscate dal padre nazista e le bugie del figlio
di Tonia Mastrobuoni
Cornelius
Gurlitt, morto nel 2014: la storia di suo padre Hildebrand è raccontata
nella biografia “ Hitlers Kunsthaendler” ( Il mercante d’arte di
Hitler), della storica dell’arte Meike Hoffmann
Continuò ad
acquistare tele di artisti ebrei anche dopo essere stato licenziato dal
Museo Ma dopo la guerra non provò a restituire quanto aveva sequestrato e
nascose quel “tesoro”
BERLINO LA scoperta dell’incredibile saga dei Gurlitt avviene come nel più classico dei gialli: per caso.
Sei
anni fa, su un treno svizzero, la polizia doganale esegue un controllo
di routine tra i passeggeri diretti a Monaco. E trova addosso a un
vecchietto dall’aria innocua 9mila euro in contanti, cuciti nella
giacca. Lì per lì non accade nulla, magari a qualcuno scappa anche un
sorriso per il nascondiglio antiquato di Cornelius Gurlitt.
Ma
qualcun altro si insospettisce e decide che la cosa non può finire lì.
Il 79enne è ufficialmente povero, senza un reddito. Così, dopo qualche
indagine, un paio di poliziotti bussano alla porta del suo appartamento
nell’elegante quartiere di Schwabing, a Monaco. Quello che trovano, farà
storia.
Gurlitt vive come un barbone, si nutre di cibo in
scatola, ammassa carte e immondizia in mezzo a mobili da quattro soldi,
ma alle pareti e ammucchiati negli angoli nasconde uno dei tesori più
inestimabili del secolo. Migliaia di capolavori di ogni epoca, dati per
scomparsi il 13 febbraio del 1945, bruciati ufficialmente nel terribile
bombardamento di Dresda, uno degli episodi più cupi della fine della
guerra, magnificamente raccontato da Kurt Vonnegut.
In realtà,
quel patrimonio inestimabile cancellato dai libri di storia, è rimasto
intatto. E nel piccolo appartamento di Gurlitt i poliziotti trovano
oltre 1.400 capolavori di ogni epoc:, Canaletto, Picasso, Franz Marc,
Matisse, Duerer, Kokoschka o Rodin. Altre migliaia di opere verranno
rinvenute in una seconda casa a Salisburgo. Valore stimato, oltre un
miliardo. Opere, però, dall’origine dubbia, criminale. Pezzi unici da
mercato nero che Gurlitt vende da decenni per mantenersi, per pagarsi le
cure mediche. Capolavori che ha ereditato da suo padre, Hildebrand
Gurlitt.
Sul letto di morte, nel 1956, il figlio gli ha infatti
promesso che continuerà a nasconderli, ad accudirli. Ma quei capolavori
sono stati sottratti illegittimamente ai proprietari durante l’epoca
nazista: rubati agli ebrei, confiscati su incarico della feccia bruna
perché «arte degenerata ». Gurlitt muore nel 2014, tra mille polemiche,
perché voleva donare tutto al Museo di Berna, ma nel dubbio che
centinaia di quelle tele possano ancora essere restituite agli eredi dei
proprietari veri, l’imbarazzo è grande.
Sul padre di Cornelius,
Hildebrand Gurlitt, considerato a oggi uno dei mercanti d’arte più
controversi del Novecento, è appena uscita in Germania una prima
biografia: Hitlers Kunsthaendler (Il mercante d’arte di Hitler”, C.H.
Beck Verlag), scritta dalla storica d’arte Meike Hoffmann della Freie
Universitaet di Berlino e della giornalista del Tagesspiegel Nicola
Kuhn.
Erano quattro, in realtà, gli specialisti incaricati
ufficialmente da Hitler di confiscare opere d’arte in giro per la
Germania per rivenderle all’estero e procurare soldi al regime nazista.
Agli altri tre “mercanti di Hitler” sono già state dedicate delle
monografie, mancava solo quella che ricostruisse la complessa vicenda di
Gurlitt, il suo incarico era stato per anni anche quello di comprare
capolavori per il “Museo del Fuhrer” di Linz.
Nato in una famiglia colta, di artisti e intellettuali di Dresda, una nonna ebrea, Hildebrand Gurlitt inizia la sua carriera al
Koenig-
Albert- Museum di Zwickau, dove alla fine degli anni Venti colleziona
con entusiasmo opere delle avanguardie, quadri di Max Pechstein, Ernst
Ludwig Kirchner, Oskar Kokoschka. Quando l’aria si fa pesante,
all’inizio degli anni Trenta, e comincia la cupa propaganda che condanna
l’arte degli ebrei e delle avanguardie, Gurlitt viene licenziato. Anche
come direttore di un Museo di Amburgo, poco dopo, continua a comprare
tele degli espressionisti e di artisti ebrei. Il primo maggio del 1933,
quando le camice brune sfilano per la città anseatica, Gurlitt si
rifiuta di issare la bandiera nazista. A luglio è nuovamente costretto
ad andarsene. E decide di mettersi in proprio. Ma poi, inspiegabilmente,
avviene la conversione al nazismo, e Gurlitt comincia la sua
irresistibile ascesa nel regime.
«Come mai uno spirito critico, un
entusiasta delle avanguardie — si chiedono le autrici della biografia —
ne diventa improvvisamente il liquidatore, si trasforma da vittima in
carnefice? ». Per loro, tuttavia, peggio del ruolo avuto durante il
nazismo è quello assunto da Gurlitt dopo la guerra. Il “mercante d’arte
di Hitler” si è ben guardato dal restituire le opere ai legittimi
proprietari o alle loro famiglie, non si è mai chiesto quanti danni
avesse fatto a miriadi di persone. E ha chiesto al figlio di nascondersi
per sempre nel buco nero della sua menzogna.