Repubblica 19.2.16
La sindrome del complotto
di Claudio Tito
IN
Italia quando le cose non vanno bene o si teme che non possano andare
bene, c’è sempre qualcuno che alza il vessillo del complotto. È uno
spettro che si materializza improvvisamente e sistematicamente. Sembra
essere una regola senza eccezioni. Soprattutto per chi si ritrova sulla
poltrona della presidenza del Consiglio.
Negli ultimi giorni quel
fantasma è tornato a svolazzare da quelle parti. Il sospetto è sempre lo
stesso: il complotto europeo. O meglio della tecnostruttura di
Bruxelles. È come se tra le tende di Palazzo Chigi si annidasse una
strana sostanza che di volta in volta fa scatenare questa sindrome
recidivante. Ma, come spesso è accaduto in passato, è una malattia che
si manifesta per cause endogene. La manina o la manona straniera c’entra
ben poco.
È vero, Berlusconi nel 2011 è caduto dopo il vertice
europeo di Nizza. Ma davvero si può credere alla favola che quel governo
ormai senza ossigeno da tempo sia entrato definitivamente in crisi a
causa di una macchinazione internazionale? Il Cavaliere si è dovuto
dimettere perché il suo esecutivo è stato un disastro sotto tutti i
punti di vista. Ogni singolo indicatore economico — non solo il
famigerato spread con i bund tedeschi — aveva un profondissimo segno
negativo. Pil in picchiata, tassi alle stelle. E l’Italia era percepita
da tutti, e in primo luogo dai mercati e dagli investitori stranieri,
come un Paese inaffidabile. Perché Berlusconi era avvertito in quei
termini. Anche nel 1996, nei primi mesi della stagione prodiana, iniziò a
propagarsi il medesimo virus. Erano i mesi dell’esame di ammissione
all’Euro. Si decideva chi sarebbe entrato nel club della moneta unica.
Il nostro Paese era tra i potenziali esclusi. Ma non perché ci fosse un
complotto. Perché i nostri conti erano pesantemente in disordine. Romano
Prodi imboccò la strada più dritta, senza scorciatoie, raddoppiando la
manovra economica che superò i 60 mila miliardi di lire. E il complotto
svanì. Ancora prima Bettino Craxi brandì la stessa arma dialettica e si
attaccò alla cospirazione internazionale del Britannia per spiegare
Tangentopoli e l’addio alle partecipazioni statali.
Il punto è
proprio questo. Troppo spesso le difficoltà italiane sono interpretate
esclusivamente alla luce di presunti o reali eserciti stranieri che si
muovono contro di noi a prescindere da quel che facciamo. In questo caso
le truppe sono formate dagli euroburocrati e dai falchi di alcune
cancellerie. E qualche anno fa prendevano le sembianze dei membri del
bureau della Bce. Una sorta di “vincolo esterno” costruito al contrario:
non per migliorare la situazione ma per peggiorarla.
Nelle ultime
settimane e dopo una lite consumatasi tra Renzi e l’ex premier Monti,
non in qualche stanza segreta ma sotto i pubblici riflettori dell’aula
del Senato, quella sindrome ha fatto riaffiorare tutti i sintomi.
Eppure, come si può davvero pensare che sia di nuovo scattato un
complotto contro l’Italia? Il presidente del Consiglio italiano da tempo
ha avviato uno scontro, tutto politico, con la Commissione europea per
rendere più flessibili i parametri europei. Lo ha fatto in sedi formali.
Ad esempio nell’ultimo Consiglio europeo. E in occasioni ufficiali come
l’incontro con Angela Merkel a Berlino. La dinamica è piuttosto
ordinaria: quando Renzi attacca la controparte risponde. Quando Juncker
critica, il capo del governo italiano replica. Il tutto secondo un
canone ormai consolidato. Niente di occulto.
E poi: ci sono
davvero le condizioni per rendere efficace qualsiasi tipo di presunti
complotti? Tanto per cominciare non ci sono dal punto di vista politico.
In questo Parlamento, difficilmente un’altra maggioranza può
costituirsi intorno a un presidente del Consiglio diverso dall’attuale.
Una circostanza abbastanza chiara anche nelle stanze del potere europeo.
Senza contare che il Pd, di cui Renzi è segretario, è il primo partito
in Europa.
E quali sarebbero i presupposti economici per dare una
spallata a questo governo? La crescita è sostanzialmente in linea con
gli altri partner dell’Ue e registra comunque un segno positivo. Lo
spread è a un livello quasi fisiologico. I tassi hanno al momento un
andamento ordinato. Il complotto, insomma, può essere solo nella testa
di chi respira quella strana muffa che si trova a Palazzo Chigi. A meno
di non volere invertire i termini di quel che diceva Mario Draghi nel
2012: «Una nostra tentazione atavica è di attendere che un esercito
d’Oltralpe risolva i nostri problemi ». In questo caso, che li crei.
Il
nucleo della questione è un altro. Quando con troppo nervosismo si
agita questo spettro e si affrontano le sfide alzando la voce, si
rischia di trasmettere un’immagine di debolezza. Le sfide in politica,
anche quelle che si ingaggiano a Bruxelles e a Berlino, si vincono con
la forza degli argomenti. Convincendo i mercati finanziari della
solidità del Paese e della bontà delle ricette offerte. Agitarsi
inutilmente, al contrario, induce gli interlocutori a chiedersi se ci
siano davvero dei problemi. A meno che non si voglia arrivare
all’incredibile paradosso utilizzato due giorni fa da una parlamentare
del M5S: «C’è un complotto per farci vincere».