Il Sole 19.2.16
Le divisioni parlamentari che incombono sul Governo
di Paolo Pombeni
Si
può illudersi di ridimensionare il pasticcio parlamentare sul ddl
Cirinnà facendolo passare come una bagarre fra partiti e fazioni, sempre
possibile in un momento di fibrillazioni politiche pre-elettorali? Si
può, ma farebbe perdere il senso delle proporzioni in quanto è accaduto.
Purtroppo si tratta della prova di cosa possa succedere nelle
condizioni attuali della politica italiana quando ci si lancia in
avventure senza l’opportuna preparazione e senza una regia. Perché
questo è quanto è successo nel caso del disegno di legge sulle unioni
civili: si è dato per scontato che si trattasse di un argomento ormai
assimilato dal Paese, non ci si è preoccupati di lasciarlo nelle mani
delle “piazze” di diverso colore, si è sottovalutato che in un contesto
parlamentare di lotta generalizzata per fazioni un argomento del genere
sarebbe diventato una ghiotta occasione per tutti i generi di
strumentalizzazione.
Anche ora che la frittata è fatta non si vede
alcuna voce che abbia l’autorevolezza necessaria per imporre alle sue
truppe il “silenzio nei ranghi” avviando così un percorso di seria
programmazione di una via d’uscita che consenta di arrivare ad un testo
capace di regolamentare fenomeni sociali ampiamente presenti e non
ignorabili (anche perché ormai quasi tutte le legislazioni degli stati
con cui noi ci relazioniamo lo hanno fatto). Regolamentare fenomeni e
non perdersi in battaglie astratte su casi limite e su presunti diritti
che tali sono in maniera piuttosto discutibile.
Purtroppo non si
vuole capire che quando si consente la spettacolarizzazione estrema dei
confronti politici si inchiodano tutti i partecipanti ai ruoli che si
determinano in questo modo, impedendo poi qualsiasi riconsiderazione
delle posizioni. Lo si vede fin troppo chiaramente nel profluvio di
dichiarazioni sopra le righe in cui la classe politica si sforza sempre
più di dar ragione alla sprezzante definizione che ne diede Donoso
Cortes come “clasa discutidora”, cioè un gruppo di persone più
interessate a mettere in scena dibattiti infiniti in cui nessuno vuol
trovare punti di incontro, che non a risolvere problemi governando. Per
come si sono messe le cose il rischio molto concreto è che si faccia
fare un passo indietro al paese quando sono all’orizzonte problemi assai
rilevanti. La tentazione di portar a casa comunque una affermazione di
forza è quasi irresistibile in troppi attori: in una parte del Pd che
pensa così di sottolineare la sua natura “di sinistra”; nel variegato
mondo degli oppositori “morali” ad alcuni aspetti certo problematici
della legge, che non si preoccupano di resuscitare il vecchio scontro
laici/cattolici che si sperava seppellito; in tutti quei gruppi politici
a cui non par vero di sfruttare l’occasione buona per dare un calcio
negli stinchi al renzismo, magari guadagnando così posizioni
nell’imminente risiko elettorale.
Guardando alla situazione
attuale c’è poco da sperare nella individuazione di ragionevoli vie
d’uscita. L’incancrenirsi degli integralismi è talmente palese che è
inevitabile aspettarsi che ci si organizzi per far continuare la contesa
prima nella prossima tornata di amministrative (che, diciamolo, è già
caotica di suo) e poi in un più che probabile referendum abrogativo.
Sappiamo bene che qualche politico ancora raziocinante è al lavoro per
evitare questi esiti, ma temiamo che la loro sia la classica fatica di
Sisifo. Renzi ha la capacità e il potere per fermare questa deriva?
Diciamo Renzi, perché è colui che rischia di più se non riuscisse questa
impresa. Davanti al governo ci sono infatti scadenze complicate: i
negoziati a livello europeo su migranti; le misure economiche non
semplici da prendere; la riforma della governance europea; la gestione
delle riforme avviate e di quelle da avviare (si vedano anche solo i
rilievi della Corte dei Conti sulla spending review per dare un’idea di
cosa c’è in ballo), la questione ancora aperta della politica
mediorientale, con la situazione in Siria-Iraq che è sempre più
difficile e col problema della Libia tutt’altro che risolto. Affrontare
queste prove con un quadro politico preda di convulsioni più da comizio
che ideologiche non può essere considerato un contesto a cui guardare
con occhio benevolo.
Pochi credono che le lacerazioni che si sono
lasciate crescere e sedimentare nei giorni passati spariranno d’incanto
quando si dovrà tornare a mettere mano a tutte le questioni rimaste in
sospeso, alcune delle quali estremamente spinose (pensiamo, per esempio,
a tutto ciò che è legato alla riforma del sistema bancario). Quanto è
accaduto è stato, per buona parte, un test per saggiare le possibilità
di mettere in difficoltà la tenuta della maggioranza di governo, vuoi
facendo venire a galla i conflitti interni al Pd, vuoi costruendo una
occasione per la piccola stampella governativa di centro e centrodestra
per accreditare un suo ruolo di peso. Tutte prove di forza destinate a
continuare, come del resto si può intuire in più di uno dei contesti che
si avviano alla prova delle amministrative di primavera. Eppure nei
prossimi giorni il nostro governo deve andare ad un importante
appuntamento europeo dove si discuterà di temi che definire impegnativi è
un eufemismo. Mandarcelo con sulle spalle il pasticcio parlamentare che
si è riusciti a lasciar montare può essere considerato un buon viatico
in vista di una crescita di accreditamento di cui l’Italia avrebbe
bisogno?
La domanda è, ovviamente, del tutto retorica.