venerdì 19 febbraio 2016

il manifesto 19.2.16
Il gelo sopra palazzo Chigi
Per Renzi il vento è cambiato. Ieri doppio colpo sul fronte dell’economia: l’Ocse che corregge al ribasso le previsioni di crescita e l’allarme della magistratura contabile
L’ira della commissione Ue non è scemata e l’attacco di Monti è un segnale pessimo per il premier
di Andrea Colombo

Il vento è cambiato, e le raffiche gelide che flagellano il baldanzoso inquilino di palazzo Chigi non accennano a placarsi. Anzi, si moltiplicano giorno dopo giorno.
Ieri è arrivato un micidiale uno-due sul fronte più pericoloso, quello dell’economia. L’Ocse ha corretto al ribasso le previsioni di crescita per l’anno in corso.
L’Eurozona passa dal previsto 1,8% all’1,4%, l’Italia dall’1,4% all’1%, il mondo dal 3,3% al 3%. La frenata è complessiva e addebitata ai noti fattori di crisi sparsi nel mondo, ma il ruolo specifico europeo è sottolineato con tanto di matita rossa: «La lentezza della ripresa nella zona euro è un forte freno alla crescita globale e lascia l’Europa vulnerabile agli shock globali».
Se l’Europa è vulnerabile, l’Italia lo è molto di più.
La previsione ridimensionata, accompagnata dai dati deludenti dell’ultimo scorcio del 2015, mettono in serio dubbio la possibilità di diminuire il debito pubblico entro quest’anno, e di conseguenza lasciano Renzi a corto di argomenti nel braccio di ferro con una Commissione Ue la cui ira è tutt’altro che scemata. E’ vero che le previsioni per il 2017 sono rimaste immutate, fisse all’1,4%, ma è anche vero che si tratta di un outlook troppo distante nel tempo e troppo incerto per incidere.
Su questo fronte, almeno, Renzi può addebitare la doccia fredda alla congiuntura globale negativa.
Non così per quanto riguarda la mazzata durissima vibrata dal presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri. Non si tratta solo di constatare che il barometro segnala tempesta mentre sino a ieri prometteva bel tempo, e neppure di bacchettare il governo per aver fatto ben poco sul fronte del risparmio.
Il peggio è che nella relazione di Squitieri viene detto molto forte e molto chiaro che anche quel poco è stato fatto male, non colpendo gli sprechi improduttivi ma falciando servizi di prima necessità.
I gufi dell’Ocse e quelli della Corte dei Conti finiscono così per intonare lo stesso canto.
Perché l’Ocse punta il dito sulla bassa domanda che a sua volta impedisce all’inflazione di riprendersi e all’occupazione di allargarsi, mentre la Corte denuncia una politica di risparmio che, invece di colpire la spesa improduttiva, impoverisce la popolazione e quindi tutto fa tranne che incentivare la domanda.
I dati freddi delle cifre diventano ben più roventi se li si osserva nelle loro immediate conseguenze interne.
L’attacco durissimo di Mario Monti, nel corso del dibattito al Senato sulla riunione del Consiglio europeo, non può essere derubricato a sfogo di un ex presidente del consiglio livoroso o di un nemico politico. Monti è «il podestà straniero», come da titolo di un suo celebre articolo nel quale si augurava l’arrivo di un castigamatti europeo, ruolo da lui stesso poi volentieri assolto.
E’ l’uomo di fiducia dei rigoristi europei e in particolare tedeschi, una voce ascoltata con estrema attenzione a Berlino e Bruxelles. Se accusa nella sede più solenne un premier già non più troppo gradito da quelle parti di «denigrare l’Europa» e di «distruggere sistematicamente a colpi di clava e scalpello tutto ciò che la Ue ha significato» il segnale è pessimo.
Lo è ancora di più se si tiene presente la cordialità ostentata dei rapporti tra l’ex premier e l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, che il giorno prima non aveva nascosto stizza e disappunto per come il Pd sta gestendo la partita delle unioni civili. Napolitano non è solo un presidente emerito della Repubblica. Pur se formalmente dall’esterno, esercita ancora un peso più che notevole nel Pd. Se la sua insofferenza nei confronti di Renzi dovesse tracimare sarebbe un guaio ben più grave dei dissensi permanenti della minoranza di sinistra o dei catto-dem.
Soprattutto, la sfida con l’Europa e l’emergere di risultati deludenti minacciano di privare il premier di quella che sinora è stata la sua arma più potente: un sostegno unanime e incondizionato da parte dell’intero apparato mediatico, come in Italia non si era mai visto.
Anche su quel versante, il vento è cambiato. Se Paolo Mieli, che certo non è solo un giornalista che esprime il proprio inoffensivo parere, è passato dalla difesa a oltranza a critiche sempre più acuminate e se i grandi giornali azzardano appunti puntuali, trattasi non di ordinaria amministrazione ma di una crepa che si sta allargando.
Si può capire perché proliferino fantasie su possibili nuovi colpi di mano come quello che quattro anni fa consegnò l’Italia a Monti. Per ora sono miraggi. L’obiettivo non è sbarazzarsi di Renzi ma imbrigliarlo una volta per tutte. Almeno fino a quando non si vedrà un’alternativa robusta.