Repubblica 19.2.16
“I demoni sono in noi”
A volte ritornano quanti fantasmi da Henry James a Hilary Mantel
John Banville parte dal nuovo libro dell’autrice inglese per riflettere sul male:
di John Banville
Il
problema del male è sempre con noi, ma per la maggior parte di noi è un
problema solo a livello teorico. Il male è qualcosa che succede agli
altri, e i responsabili, chissà perché, non sono mai le persone che
conosciamo. Tutti ci dicono che nelle condizioni giuste — o meglio nelle
condizioni sbagliate, catastroficamente sbagliate — i nostri vicini si
trasformeranno in una folla inferocita, e con ogni probabilità in mezzo a
quella folla ci saremo anche noi. Ma nel profondo del nostro cuore non
riusciamo a crederci. Quali circostanze, ci domandiamo, potrebbero
spingere gli Smith e i Jones a
scendere in strada brandendo le
torce e reclamando sangue innocente? E quale disastro sociale, per
quanto terribile, potrebbe spingerci a unirci a loro? Eppure succede: la
storia rimbomba del clamore delle folle e delle urla delle loro
vittime.
Il male non dev’essere necessariamente un evento
pubblico, e agisce più insidiosamente nella sfera privata. E nemmeno
implica sempre spargimenti di sangue e roghi. Henry James, un artista
con una grande sensibilità per le sfumature della malvagità, ci conduce
nei recessi più oscuri del cuore umano: pensate a quel momento, in
Ritratto di signora, in cui ci rendiamo conto di quello a cui mirava fin
dall’inizio Madame Merle, e di come avesse sacrificato tutto, perfino
sua figlia, al proprio amore frustrato per il diabolico Gilbert Osmond. E
quando Thomas Stearns Eliot, ne La riunione di famiglia, scatena le
Furie nel salotto di Lady Mochensey, non lo fa per mostrarci la barbarie
dell’antica Grecia, ma la ferocia racchiusa nel cuore della civiltà
moderna.
Le religioni descrivono il male personificandolo come
opera di questo o quel diavolo. Il Principe delle Tenebre invade le
frivole anime degli uomini e li rende folli. O forse, in una
formulazione più sottile, il Diavolo risiede in noi, o siamo noi stessi.
Come dice Emerson, un uomo è un dio in rovina, e cosa dovrebbe fare per
sua stessa natura un dio in rovina, ci si chiede, se non il male? La
romanziera inglese Hilary Mantel ha vissuto, secondo quello che racconta
lei stessa, un momento di purificazione jamesiano all’età di sette
anni, nel giardino sul retro della casa di sua madre. Mentre stava
giocando, scorse qualcosa nell’erba alta, «un movimento impercettibile,
un turbamento dell’aria… percepisco — al margine, al limite di tutti i
miei sensi — le dimensioni della creatura». Questo è solo un momento,
anche se il più spettrale, fra i tanti simili della sua autobiografia I
fantasmi di una vita (2006), che chiunque abbia in mente di leggere il
suo nuovo romanzo, Al di là del nero, farebbe bene a consultare.
Hilary
Mantel è nata nel paesino di Hadfield, vicino a Manchester, nel 1952,
da una famiglia di immigrati irlandesi, cattolici e della working class.
Cominciò a scrivere narrativa nel 1974, all’età di ventidue anni. Si
era laureata in legge, ma le difficoltà di salute le impedirono di
intraprendere una carriera legale. Le informazioni biografiche ricavate
da I fantasmi della mia vita e da successive interviste con la
scrittrice — le circostanze della sua malattia, i suoi spaventosi
problemi di peso, il fatto che avesse divorziato da suo marito e
successivamente lo avesse risposato — sono particolarmente pertinenti al
nuovo romanzo. «Se lei, come me», ha detto a un intervistatore, «nel
corso della sua vita avesse avuto un mucchio di problemi di salute,
cercherebbe di convertire le sue debolezze in punti di forza e di
trasformare le sue privazioni in materiale per le sue opere».
Potrebbe
essere tranquillamente Alison Heart, l’eroina di Al di là del nero, a
parlare. Alison è una medium, che esercita il suo mestiere nei sobborghi
poveri a nord di Londra. La sua testa vibra delle voci dei morti e ha
un legame diretto con “Mondo degli Spiriti” attraverso il suo spirito
guida, Morris Warren, artista del circo quando era «al di qua della
dogana» («segava la donna in due»). L’orribile Morris è solo una delle
tante, meravigliose invenzioni dello strano, divertente ed emozionante
romanzo di Hilary Mantel. Nel senso più sottile, innovativo e peculiare
che si possa immaginare, è un romanzo vecchio stampo sullo stato
dell’Inghilterra. Mondo degli Spiriti (Alison ne parla sempre omettendo
l’articolo determinativo) è un’altra versione dell’Inghilterra. È un
luogo «di una calma piatta, né freddo né caldo, né collinoso né
pianeggiante, dove i morti, ognuno nel fiore degli anni e imprigionato
in un pomeriggio eterno, passano secoli senza che succeda un tubo ».
I
morti della Mantel sono apatici, infelici, puntigliosi quanto i vivi,
costantemente impegnati nella ricerca caotica di bottoni smarriti,
monetine da sei penny cadute, amici perduti. Fra la moltitudine di
defunti che incontra Alison sono molte le persone crudeli e pericolose.
Gran parte della trama del romanzo è incentrata sui “mostri” che nella
sua infanzia, quando erano ancora vivi, abusarono di lei e la
menomarono, e che ora minacciano di ritornare e sopraffarla. Morris, la
sua trasandata guida spirituale, è uno di loro. Nelle intenzioni
dell’autrice non sono gli spiriti benevoli a doverci restare impressi,
bensì quelli malevoli. Ed è qui che il romanzo entra in crisi e va
incontro alla sua maggiore sconfitta, anche se è una crisi inevitabile
considerando le ambizioni dell’autrice, ed è una sconfitta onorevole.
Il
problema riguarda il male e la sua rappresentazione. Nel suo tentativo
di raggelarci il cuore lasciandoci intravedere il centro dell’inferno,
la Mantel indugia troppo sugli effetti grandguignoleschi. I lettori di
romanzi, però, sono notoriamente assetati di sangue e presto diventano
insensibili anche alle rappresentazioni più estreme di crudeltà e
violenza. La Mantel è consapevole di questo triste dato di fatto e cerca
di aggirarlo adottando un tono scanzonato (in omaggio, viene il
sospetto, a Muriel Spark) per cullarci in un falso senso di sicurezza,
fuori dal quale i suoi squarci di malvagità impartiti col contagocce ci
fanno sobbalzare, ci lasciano senza fiato. Omicidi, abusi sessuali,
prostituzione minorile, cani feroci, occhi cavati, corpi smembrati,
questo e altro ci viene presentato con una sorta di tetra noncuranza. E
l’umorismo macabro, anche se gradevole e nella maggior parte dei casi
utilizzato nei tempi giusti, a tratti sembra forzato. Ma su una cosa non
c’è dubbio: la prosa di Hilary Mantel è impareggiabile.
IL ROMANZO Al di là del nero di Hilary Mantel ( Fazi, traduzione di G. Oneto pagg. 493 euro 19)