venerdì 19 febbraio 2016

Repubblica 19.2.16
Come mantenere viva la rivoluzione di Basaglia
di Pier Aldo Rovatti

Tra parole e immagini, “L’istituzione inventata” è il diario collettivo di quarant’anni di battaglie
«Ci è sembrato doveroso mettere giù questo diario », scrive Franco Rotelli nella presentazione di L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971- 2010 (collana 180, edizioni AlphaBeta Verlag). È un diario per parole e immagini di quanto è accaduto nella città: l’arrivo di Franco Basaglia, la chiusura del manicomio di San Giovanni, la legge 180 che corona un decennio di lotte e pratiche de-istituzionalizzanti. Ma che al tempo stesso immette nei decenni difficili del dopo, quando non è più solo il momento di “negare” ma soprattutto quello di “inventare” una nuova e diversa istituzione.
Questa costruzione o “invenzione” è già presente negli anni di Basaglia, accompagna da subito la sua “rivoluzione”, ma solo dopo diventa il compito più importante da svolgere, un lavoro incessante contro un’infinità di resistenze e opposizioni. Un lavoro — dice Rotelli — che «purtroppo è appena cominciato».
Un work in progress che questo volume aiuta a comprendere, raccontandolo dal di dentro attraverso scritti, storie, fotografie. Descrivendo l’avventura basagliana in un modo che non è né agiografico né troppo banale e ridotto in pillole. Si comincia con i cinquecento nomi che aprono l’almanacco in ordine alfabetico (con l’avvertenza che si tratta solo di una parte di coloro che potrebbero essere inseriti nell’elenco): danno subito l’idea che qui è entrato in scena un collettivo vasto, un’effettiva comunità di intenti dove troviamo tecnici e intellettuali mescolati a una folla di altre figure provenienti da fuori e dal basso. Compresi alcuni pazienti prima chiusi in manicomio, e che poi hanno contribuito ad aprirlo e a trasformarlo.
Anche l’autore evita di mettersi al centro della scena, proponendosi più che altro come curatore dei materiali proposti al lettore. Rotelli è lo psichiatra ha lavorato a stretto contatto con Basaglia fino alla sua prematura scomparsa, ne ha rilevato il ruolo per molti anni passando in seguito a dirigere l’Azienda sanitaria triestina (mentre Peppe Dell’Acqua gli succedeva al Dipartimento di salute mentale). Infine — ed è cronaca recente — è diventato presidente della commissione Sanità in Consiglio regionale.
Quanto all’obiettivo principale dell’operazione, resta quella di ampliare e restituire complessità all’esperienza di Trieste: una necessità di superare l’ospedale psichiatrico che appare così come la più profonda verità del lascito di Basaglia, passando al territorio, investendo la politica stessa della salute dei cittadini. Così l’almanacco vuole dar conto di tutte le iniziative che sono state immaginate e costruite per dare realtà a un’impresa che non poteva limitarsi a fare uscire gli internati dal manicomio ma doveva estendere questo progetto di “apertura” all’intera città e a un’estesa pratica territoriale della salute. Con parole d’ordine molto chiare: emancipazione, non guarigione; laboratori, non ambulatori. Insomma, una politica sociale tutta da inventare attorno a questo “oggetto povero”, che è poi anche la vita di ciascuno di noi, nella banalità del soffrire e dell’essere allegri.
Nella presentazione Rotelli ricorda quanto sia impervia la strada della “banalità del bene” e avverte chi voglia avventurarsi nella lettura dell’almanacco che la parola “soggetto” vi riemerge di continuo per sottrarla alla negazione assoluta (quella del manicomio e delle istituzioni totali ancora esistenti nel mondo), ma anche alle altre forme di negazione della libertà presenti nella società attuale.
Così la lotta contro tutte le istituzioni della follia, che trova nell’esperienza di Trieste un modello, diventa una battaglia di civiltà a beneficio delle vittime del disagio mentale. E insieme un appello a “inventare” una nuova politica per la vita.
IL LIBRO L’istituzione inventata di Franco Rotelli (AlphaBeta Verlag, pagg. 323, euro 29). A destra nella foto, Franco Basaglia