Repubblica 18.2.16
Unioni civili, non parliamo di laici contro cattolici
La differenza vera non è tra credenti e non credenti, ma tra clericali e laici
di Massimo L. Salvadori
INFURIA
nel Parlamento e nel paese il dibattito sulla legge relativa ai diritti
civili in un contesto dominato dalla presunta, artificiosa,
contrapposizione tra cattolici da un lato e laici dall’altro, il quale
vede legarsi insieme calcolo politico e confusione concettuale: indice
il primo di una volontà di strumentalizzazione, la seconda di una non
sorprendente ma deplorevole incapacità o volontà di distinzione. Senza
tregua, insomma, sentiamo evocare il vecchio ritornello secondo cui i
cattolici si oppongono ai laici e i laici ai cattolici. Si tratta di una
distinzione a cui sembra impresa vana cercare di sottrarsi; e che fa un
grave torto anzitutto ai cattolici e più in generale ai credenti delle
varie fedi religiose. Chiunque guardi alla realtà delle cose non fa
fatica ad accorgersi che vi sono cattolici e credenti che hanno un
approccio laico e liberale ai problemi della vita e della convivenza
civile (come Arturo Carlo Jemolo) e laici — spesso identificati con
estrema disinvoltura tout court con i non credenti — i quali sono tali
nel termine ma non nello spirito. La distinzione vera non è tra
cattolici e laici, credenti e non credenti, ma tra clericali e laici.
Laici
sono tutti coloro che, in relazione ai valori e ai comportamenti,
tengono cara e rispettano la libertà altrui, non intendono dettare il
proprio credo a coloro che non lo condividono, si attengono nei loro
progetti e concreti modi di vivere a ciò che il credo dice loro, ma non
pretendono di imporli ricorrendo alla forza della legge dello Stato,
rivendicano giustamente il diritto di cercare di estendere il consenso
alle loro concezioni del mondo, ma non mirano a stabilire con i mezzi
della coercizione un monopolio che si vuole improntato al massimo della
civiltà etica e sociale ma che in effetti si presenta incivile.
Clericali sono per contro quanti, intolleranti, un tale monopolio
invocano; sono i credenti illiberali che, facendo appello al fatto di
avere con sé la maggioranza popolare, concludono di avere il diritto e
la legittimazione per sopraffare gli altri; ma nelle file dei clericali
si collocano a pieno titolo altresì quei sedicenti laici che considerano
i credenti alla stregua di minus habentes, in quanto prede della
superstizione nemica della razionalità e per loro natura incapaci di
sviluppare uno spirito laico. Autentici “clericali” in questo senso
erano perciò i regimi che predicavano e imponevano l’ateismo come
doveroso e indispensabile fondamento dello Stato. Quando si tratta dei
modi di concepire una famiglia, di stabilire i diritti delle coppie
etero e omosessuali, le adozioni, è giusto e necessario che non si usi
il principio della supposta maggioranza come un boomerang contro il
rispetto delle diversità e le sue implicazioni legislative. La libertà
dovrebbe valere come un bene condiviso; ma i credenti clericali, ovvero
coloro che si considerano i guardiani dell’unica verità ammessa, di
quella che, essendo rivelata da Dio, soltanto può costituire un’etica
universalistica, si indignano all’idea che possano avere corso punti di
vista e stili di vita che non siano i loro. Eppure hanno di fronte a sé
una strada larga come un’autostrada: operare affinché il consenso
intorno ai loro valori e criteri di vita si allarghi nella misura in cui
sono in grado di ottenerlo, agire per conquistare il maggior numero
delle coscienze al loro messaggio. Ma vivano e lascino vivere anche chi
pensa e sente altrimenti. Il concepire la verità in maniera
monopolistica è pienamente legittimo nella sfera della coscienza
soggettiva degli individui e delle collettività, ma non deve invadere le
istituzioni di uno Stato che voglia essere laico, il cui compito è
quello di regolare in maniera pacifica e civile le relazioni tra la
maggioranza e le minoranze, proteggendo — di più: favorendo — il
pluralismo e impedendone il soffocamento.