La Stampa 18.2.16
L’establishment contro il ribelle
di Marcello Sorgi
Lo
scontro in aula al Senato tra Monti e Renzi, sul presente e sul futuro
dei rapporti con L’Europa, ha stupito per la sua durezza, ma non è certo
avvenuto a sorpresa. Da settimane, l’ex capo del governo tecnico che
nel 2011 salvò l’Italia dal crac e dal commissariamento stile Grecia
minacciato da Bruxelles, non fa mistero della sua contrarietà alla sfida
lanciata da Renzi a inizio d’anno alla Commissione presieduta da
Juncker e a tratti anche alla Merkel.
Da ex commissario e profondo
conoscitore dei meccanismi che regolano il funzionamento dell’Unione,
oltre che da economista, l’ex presidente del Consiglio teme che il
disastro evitato a costo di grandi sacrifici, imposti agli italiani
cinque anni fa, possa riproporsi pari pari per un’errata valutazione,
sia dell’evoluzione della congiuntura economica, di nuovo a rischio di
crisi dopo un pallido accenno di ripresa, sia dei rapporti di forza tra
Italia e Ue. Monti non lo dice a voce alta - sebbene il suo intervento
di ieri a Palazzo Madama sia stato chiaro - ma il rischio che vede
profilarsi è lo stesso a cui l’Italia andò incontro nella drammatica,
ultima estate del governo Berlusconi, quando il Paese apparve
all’improvviso in default rispetto al severo metro di misura praticato
dalle autorità europee e l’ex Cavaliere dovette arrendersi allo sfratto
da Palazzo Chigi, considerato alla stregua di un «colpo di Stato».
Le
analogie tra allora e oggi, tuttavia, non sono così evidenti. La
tendenza alla risalita dello spread tra i nostri titoli di Stato e
quelli tedeschi si è, sì, manifestata, ma senza la virulenza del
passato. La congiuntura negativa si fa sentire, ma è diffusa a livello
globale, e ciò che fa più preoccupare gli economisti sono le contrazioni
della ripresa americana e lo stallo in cui è caduta quella cinese.
Anche la crisi bancaria, apparsa come un incubo all’alba del nuovo anno,
non riguarda solo i nostri istituti di credito, ma come s’è visto anche
uno dei più importanti tra quelli tedeschi. In sintesi, la situazione
non è affatto rassicurante; ma non è detto che stia per precipitare,
come ha lasciato intendere Monti.
Perché dunque l’ex presidente
del Consiglio, tra l’altro fondatore di un partito che sostiene il
governo, s’è risolto a un attacco così duro? La spiegazione è che Monti,
e non solo lui, rappresenta un establishment europeista che è abituato a
frequentare Bruxelles e Strasburgo come un vecchio socio, avvezzo alle
regole del club al quale è iscritto, e consapevole che la violazione
delle stesse può avere conseguenze molto gravi. In questo, tra l’altro,
Monti non è solo: nella recente intervista a «Repubblica» dell’ex
presidente della Repubblica Napolitano, in più di un accenno del recente
intervento del presidente della Banca centrale europea Draghi, e nei
silenzi eloquenti dell’attuale capo dello Stato Mattarella si possono
ritrovare le stesse argomentazioni, sebbene articolate con sensibilità e
linguaggi diversi. Tralasciando i dettagli, è come se un coro di così
alto livello si levasse per dire a Renzi: fermati finché sei in tempo,
oltre un certo limite non potrai più tornare indietro.
Ma a
giudicare dalla replica del premier, che in Senato ha risposto per le
rime a Monti, la sensazione è che questo genere di raccomandazioni
difficilmente saranno accolte. Renzi infatti ha scelto una linea,
diversa da quella dei suoi critici interni e esterni, che punta a
rimettere la politica, sottomessa finora al rigore delle regole di
Bruxelles, in capo a ogni discussione sul futuro dell’Europa: a suo
giudizio le scelte economiche, e più in generale la cooperazione e
l’idea di solidarietà che stanno alla base del sogno europeo, non
sopravviveranno, se l’Unione non sarà in grado di rinunciare alle sue
rigidità e far fronte alle nuove sfide, come quella dell’immigrazione,
che i Paesi partners tentano inutilmente di aggirare. L’Europa intera,
non solo l’Italia rischia di essere travolta dai propri egoismi: ecco
cosa pensa Renzi. Il guaio è che non è detto che abbia torto.