giovedì 18 febbraio 2016

La Stampa 18.2.16
La stangata delle tasse locali
In vent’anni più che triplicate
Roma la città più cara per fare impresa, Trento è la più conveniente
di Paolo Baroni

Dal 2011 al 2015 la tassa sui rifiuti è cresciuta del 50%, da 5,6 a 8,4 miliardi. In vent’anni, le tasse centrali sono passate da 228 a 393 miliardi mettendo a segno un balzo del 72%. Dal 2011 al 2015 le imposte sugli immobili sono invece cresciute del 143%, passando da 9,9 miliardi a 23,9. E solo quest’anno ci sarà un calo del 19% per effetto della cancellazione delle imposte sulla prima casa. E comunque rispetto al 2011 la somma delle imposte su immobili e rifiuti continuerà anche nel 2016 passando da 15,4 a 27,8 miliardi (+80%). Il dato più clamoroso riguarda però l’insieme delle tasse locali, che dal 1995 ad oggi sono cresciute in maniera esponenziale, e disordinatissima passando da 30 a 103 miliardi di euro (+248%).
4 mila euro a famiglia
Ormai il fisco locale «estrae quasi 4000 euro l’anno per ciascuna famiglia italiana» denuncia la Confcommercio, che ieri ha presentato uno studio realizzato assieme al Cer che fissa la pressione fiscale 2015 al 43,7% (contro il 40,3 del 1995). «Oggi la quota di tributi locali - spiega il direttore ufficio studi Confcommercio Mariano Bella - rispetto al totale di tributi e contributi è al 14,5%. Qualcosa di non trascurabile, che necessita di attenzione e soprattutto richiede un coordinamento tra la fiscalità dei diversi livelli di governo». Perché qui sta il vero problema: oggi ogni ente fa in pratica come meglio crede e di conseguenza le aliquote dei tributi locali e le varie addizionali variano da città a città, da regione e regione, moltiplicandosi all’infinto. Il loro numero «è imprecisato, ma siamo nell’ordine delle migliaia». Notevoli anche le differenze nei meccanismi di calcolo: in città come Roma, Torino e Firenze le addizionali regionali sono applicate per scaglioni, a Napoli invece è proporzionale. «Altro che semplificazione fiscale», osserva Bella.
La forbice Roma/Trento
Per questo fare impresa a Roma o a Trento, ai fini fiscali, non è la stessa cosa. Nel primo caso, per effetto soprattutto delle addizionali regionale e comunale ai massimi, eredità dei dissesti dei conti di Regione e Comune, si pagano 2256 euro di tasse in più (+13,5%). Secondo la simulazione di Confcommercio, infatti, un’impresa con un imponibile Irap di 50.000 euro e un imponibile Irpef sempre pari a 50.000 euro se ha sede a Roma deve versare 19.000 euro di imposte in un anno contro i 16.744 di un’impresa con sede a Trento. Dove aliquota Irap e addizionale regionale sono la metà di quella romana, e dove non esiste addizionale comunale. Nella capitale la pressione fiscale Irap+Irpef è infatti pari al 38%, a Trento è invece al 33,5. Napoli è invece al 37,2%, Torino al 36,6 (+1542 euro rispetto a Trento), Genova al 36,2, Milano al 35,9%.
Sangalli: giù le spese
«Ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie - sostiene il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - è prioritario. Le nostre imprese non vogliono e non possono più pagare il conto di enti pubblici inefficienti. E soprattutto non vogliono subire trattamenti discriminatori e penalizzanti nel pagamento delle tasse locali». A suo parere «meno spesa pubblica e meno tasse è la ricetta per un Paese più dinamico e più equo che vuole tornare a crescere e che vuole scongiurare definitivamente il ricorso alle clausole di salvaguardia». Che qualora scattassero produrrebbero un altro salasso: ben 34,6 miliardi di tasse in più nel 2017-2018 tra aumenti dell’Iva e delle accise.