mercoledì 17 febbraio 2016

Repubblica 17.2.16
Se anche la vittoria diventa complotto
di Francesco Merlo

IL complotto, si sa, è il più banale rifugio del cretino, ma è il più cretino dei rifugi. Eppure la sanguigna senatrice grillina Paola Taverna non è certo cretina. Sarebbe facile e anche ingiusto liquidare così questa “Mamma Roma” tutto fuoco e
gaffes. Di sicuro sono orribili le volgarità degli incarogniti del Twitter e di Facebook che, nel più benevolo dei casi, la chiamano «pescivendola». C’è invece qualcosa di intelligente persino nell’illogica idea di una strategia segreta che faccia vincere il nemico grillino.
Sino a ieri tutti pensavamo che al nemico si fanno ponti d’oro per farlo fuggire, per aiutarlo a perdere e a perdersi. Paola Taverna, al contrario, ha scoperto che li faranno vincere per farli perdere, che la loro peggiore sconfitta sarà la vittoria a Roma. Dunque il Sistema consegnerà il Campidoglio ai grillini «per farci fare una brutta figura» .
È qui che il nonsenso, o meglio il controsenso, mostra la sua natura di lapsus, di errore che rivela. Forse alla fine Paola Taverna ci ha solo raccontato con una paradossale battuta di verità tutta l’inadeguatezza del Movimento 5 stelle, la sua incapacità di governare, la sua paura di farcela. Il vaffa alle istituzioni è infatti molto comprensibile — è la rabbia italiana — ma le istituzioni del vaffa cosa sono? Ecco quel che si capisce bene penetrando nel labirinto logico in cui si è cacciata la senatrice: il potere del vaffa che diventa vaffa al potere è come le parallele che convergono, è un’impossibilità. E i grillini ne sono così consapevoli che, per esorcizzare questa vittoria impossibile, si impasticcano col complotto al contrario, con il sabotaggio alla rovescia. Da quando sono nati i grillini si nutrono di complotti di ogni genere: dalle scie chimiche alle cattiverie del Bilderberg, dalla xylella della multinazionale dei concimi al Mossad che disinforma sull’Iran, dai microchip sotto la pelle dei poveracci alle corruzioni dei costruttori di treni e dei banchieri. Persino il cancro è un’invenzione delle case farmaceutiche così come l’11 settembre fu organizzato dalla Cia e non è vero che Neil Armstrong andò sulla Luna. Sono scemenze da web che addobbano il programma politico del vaffa. Ma va detto, a difesa dei grillini, che il complotto è stato in passato coltivato anche in ambienti molto più nobili della politica, e non solo italiana. Esistono una bibliografia e una filmografia enormi su quella sorta di creatura dostoevskiana che si chiama Cia, il servizio segreto degli americani, l’equivalente dell’ex Kgb sovietico, la kappa di Amerika. Abbiamo immaginato i complottardi in celle sotterranee e in nidi d’aquila, conti di Montecristo e diavoli conradiani, e non c’è bomba e non c’è delitto e non c’è scissione a sinistra che non siano stati attribuiti a un complotto, dalla morte di Enrico Mattei alla strage cosiddetta di Stato, dal sindacato giallo a Saragat, e poi i colonnelli greci e Allende, le Brigate Rosse e persino il treno veloce Torino-Lione, per non parlare di quel famoso arbitro ecuadoregno Moreno che fu beccato a Quito su una coupé rossa, “La Chevrolet della verità” titolò un giornale italiano, la prova del complotto, il prezzo per la sconfitta dell’Italia contro la Corea nell’ormai lontano 2002.
Di sicuro i complotti invocati dai grillini sono più simili a quelli dei tifosi, che almeno hanno il vantaggio di servirsene solo quando perdono. Drogati di urla, di slogan, di fanatismo cieco, gli ultrà non accettano mai la sconfitta, e c’è sempre un arbitro che si è venduto nell’Italia dei grulli, nelle curve sud dell’umanità disadattata, dell’ultrà juventino che non vuole vedere il Ciuccio perché gli ricorda il Napoli e dell’ultrà del Napoli che non va allo zoo per non incontrare la Zebra. Sono forme di cretinismo che facciamo l’errore di tollerare perché siamo tutti tifosi e il contesto ci sembra pittoresco, domenicale, da pagina sportiva, da processo del lunedì.
Nella storia elettorale italiana il complotto si chiama broglio, con il riconteggio come anestetico morale. Alibi per il fallimento, il complotto come broglio che trasforma la competizione elettorale in patacca, ha spesso avvelenato i pozzi della democrazia, associando alla peggiore politica le pur nobili tradizioni dei magliari italiani. La signora Taverna va dunque compresa, il suo infiammato sproloquio è un altro momento al tempo stesso di adesione e di resistenza alla Storia d’Italia, alla perdita dell’innocenza grillina, alla necessaria normalizzazione del vaffa. Abbiamo rivisto a Roma i metodi bizzarri, sempliciotti e incontrollabili con cui era stata reclutata e formata la prima classe dirigente. Oltre ai soliti minchioni questa volta c’era pure un professore negazionista e filonazista, e ci sono trasformisti di ogni genere, e magari qualche altro brigante come quelli di Quarto e di Bagheria, qualche altro sopracciò come a Gela, a Bologna … In fondo la Taverna, che si imbroglia denunziando l’imbroglio, può aiutare i grillini a capire se stessi, a misurare le proprie ambizioni, a prendere atto che non si possono addossare al Complotto le proprie debolezze e le proprie insufficienze. Forza signora Taverna, ancora un passo e scoprirà che il diavolo non esiste perché il diavolo eravate voi.