Repubblica 17.2.16
Il lettore collettivo
Si riuniscono,
condividono un libro per giorni, poi lo discutono insieme. Da vicino.
Parallelamente ai social, crescono sempre più i circoli letterari. In
Italia solo quelli “ufficiali” sono più di 400. E non hanno nulla di
virtuale
Chi sceglie i titoli da affrontare? Una somma di nomination o i consigli di un leader riconosciuto
di Michele Smargiassi
Lo
schema è semplice semplice. «Biscottini. Poi ci scanniamo. Poi, altri
biscottini». È successo ormai un centinaio di volte, in sei anni, sempre
qui, nella sala da tè di un bel bed&breakfast nel centro di
Bologna, nido del gruppo di lettura Bookies&Cookies. Un libro al
mese, una serata al mese di discussione bollente come un tè, «a volte
fino alle lacrime». Più è calda e agitata, meglio è. «Sulla Ferrante è
stata moscia, eravamo tutte d’accordo. Su Anna Karenina a momenti si
arrivava alle mani». L’avvocata, la farmacista, l’impiegata, la mamma.
Uomini zero, esclusi per statuto: «I lettori maschi», spiega Ilaria
Zucchini, fondatrice, «cercano il palcoscenico. Mentre è un’altra cosa,
né raduno di critici letterari, né vanitoso social network. Ma cosa
sono, allora, i gruppi di lettura? Oggetti culturali non identificati.
Eppure tutt’altro che inediti, forse addirittura secolari, tutt’altro
che invisibili, anzi studiatissimi, coccolati dalle biblioteche,
lusingati dagli editori, analizzati dai sociologi. Oggetti che
sembrerebbero impossibili, anacronistici nell’era del libro immateriale e
della condivisione online. Però esistono, e non sono mai stati così
tanti. Il portale Biblioclick promosso dal sistema bibliotecario Milano
Nord-Est ne cataloga 408 in Italia, ma è una mappa a iscrizione libera e
basta qualche verifica a campione città per città per realizzare che in
realtà sono almeno quattro o cinque volte tanti. Con una media di una
trentina di lettori a gruppo, fanno circa sessantamila italiani
(italiane: la preponderanza femminile è schiacciante), lettori accaniti,
che quando arrivano alla quarta di copertina non sono ancora
soddisfatti. Vogliono di più. Lo cercano, e lo trovano, negli altri
lettori. «Finora il gruppo ha letto oltre duecento romanzi», proclama
con orgoglio quello che si ritrova alla biblioteca di Segrate.
Ma
come, «il gruppo ha letto»? Sembra un paradosso. Nulla di più
individuale della lettura, no? Almeno, da quando anche nei conventi non
si legge più ad alta voce in refettorio. «Ma il precetto della lettura
solitaria è rispettato, spiega Luca Ferrieri, bibliotecario di Cologno
Monzese, pioniere e luminare riconosciuto del fenomeno, «solo in rari
casi si fa lettura comunitaria ad alta voce. I gruppi sono uno spazio
sociale intermedio, sospeso fra l’intimità sacra del rapporto fra autore
e lettore e la collettività».
Ciascuno se lo arreda come crede,
quello spazio. Non c’è una tipologia stabile. Costante è solo la
prevalenza assoluta della narrativa. Ad ampio spettro però, classici e
novità volentieri alternati. Rare le monomanie: una setta di
solo-Jane-Austen a Bologna, una lobby rigorosamente proustiana a Milano.
Più diffusi i gruppi di genere: gialli, libri di viaggio. Certi
ammettono nuovi soci solo a invito, altri sono come autobus dove si sale
e si scende a piacere. Il mondo web li corteggia, ma con suo probabile
disappunto non riesce ad inglobarli: Anobii, ora sotto l’ala di
Mondadori, con 300 mila utenti solo in Italia, è rimasto un sito di
mutui consigli di lettura. Facebook ha lanciato un anno fa il suo gruppo
“A Year of Books” (un libro proposto ogni due settimane), ha 617 mila
followers, in fondo pochini. Del resto, alcuni gruppi ignorano del tutto
il web, altri fanno uso intensivo ma complementare dei social network,
mentre i gruppi solo online sono pochi e rischiano di essere bacheche di
vanitosi aspiranti critici.
La lettura condivisa resta tutto
sommato ben radicata nel mondo fisico. Molti gruppi si appoggiano alle
biblioteche pubbliche. Ci sono grandi strutture come il Circolo dei
lettori di Torino, autentica business class della lettura, sale
eleganti, budget da 2 milioni di euro sostenuto da una fondazione, tutor
professionali, duemilacinquecento soci, centottanta eventi al mese. Ed
esperienze micro-garibaldine come “Viola legge” (dal nome della più
piccola frequentatrice), qualche centinaio di lettori catalizzati dalla
libreria editrice Kindustria in un paese di diecimila abitanti,
Matelica, entroterra marchigiano. In mezzo, l’Italia carbonara dei
“lettori forti” (bastano dieci libri l’anno, in Italia, per far parte
dell’élite) che cercano altri lettori forti e fondano microsocietà di
uomini-libro, dai nomi un po’ pedanti, “Gruppo di lettura di…” o
viceversa romantici, “Club dei gatti libidinosi”, “Club dei lettori
ispirati”. Non più clandestini, a Bologna il Festival dei lettori li ha
per la prima volta portati su un palcoscenico lo scorso settembre. A
Fahrenheit, la trasmissione bibliomane di RadioTre, Loredana Lipperini
li sta convocando al microfono uno ad uno, ogni lunedì, scoprendo «un
mondo di lettori resistenti a molte sirene, che difendono la lettura
come puro piacere».
Tecnicamente, l’unico impegno del “lettore
sociale” è di leggere lo stesso libro che leggono i consoci entro la
data della discussione. Chi sceglie i titoli? Una somma di nomination, o
viceversa il consiglio di un “leader” più o meno riconosciuto.
A
Cervia, la biblioteca comunale ha formalizzato la figura del “maestro di
gioco”, un po’ stimolatore, un po’ arbitro, che svela la natura dei
gruppi come strani ibridi fra seduta di autocoscienza e role game.
Talvolta, le discussioni si concludono con un voto. Tra le Bookies
bolognesi, il medagliere vede in cima la Trilogia del- la città di K
della Kristof e in fondo Sottomissione di Houllebecq, «buona intuizione,
cattiva scrittura.
Il mondo ufficiale del libro guarda con
curiosità, ma anche con perplessità. I gruppi non hanno un progetto
razionale di lettura, è il presunto difetto che qualche biblioteca cerca
di correggere con percorsi guidati, a volte rovinando tutto. Lo
spontaneismo è sacro. I gruppi sono un po’ presuntuosi, si sussurra nei
convegni, pensano di poter fare a meno dei mediatori professionali, i
recensori.
Sono un «fai-da-te della competenza, ha scritto Valerio
Magrelli, poeta e saggista, che pure li apprezza come «profughi dalla
desertificazione dei diserbanti televisivi. Tutto vero. Ma sono proprio
questi i loro punti di forza. «Non dobbiamo diventare dei critici per
amare un libro», concordano le Bookies bolognesi. È l’orgoglio del
lettore che rivendica la propria necessità, la propria specularità
creativa rispetto all’autore, quasi su un piano di parità, sulla base
del principio: un libro senza lettore non è compiuto. Se è la
“cooperazione interpretativa”, per dirla con Umberto Eco, che realizza
il senso di un testo, i gruppi di lettura ne sono la versione
socialmente organizzata. Questo invadente lector in fabula incuriosisce e
sconcerta gli autori stessi. «Ho condotto un gruppo di lettura su
Dürrenmatt ma mi imbarazzerebbe partecipare a una discussione su un mio
libro, ammette Ugo Cornia, scrittore.
Piccole minoranze forti,
cultori orgogliosi della parola inquieta. Solo questo? Nella sala da tè
bolognese, altro giro di biscottini. «Alla fine», medita Cristina, «il
libro fa quel che ha sempre fatto, fa incontrare persone distanti,
l’autore e il lettore, e i lettori fra loro. Il vero scopo in fondo è
quello. Vede molti altre occasioni di incontri umani, in giro?».