Corriere 17.2.16
Calcio e disagi mentali: la partita come terapia psichiatrica
di Stefania Ulivi
ROMA
«Andiamo per vincere». Destinazione Osaka, dove si terrà dal 23 al 29
febbraio The World Craziest Cup, una Coppa del mondo tutta speciale. Un
quadrangolare tra Italia, Giappone, Perù e Corea del Sud. In campo
pazienti psichiatrici che ieri si allenavano in un campo sportivo
dell’Eur davanti alle cineprese di Volfango De Biasi ( Natale con il
boss ) e Francesco Trento.
Protagonisti di un’avventura sportiva e
umana e anche di un documentario, Crazy for football , che De Biasi e
Trento considerano una sorta di sequel del corto Matti di calcio ,
realizzato nel 2004 seguendo l’esperienza di calcio come terapia
lanciata una ventina di anni fa da alcuni psichiatri italiani.
«Come
allora, da registi cerchiamo di essere trasparenti, non abbiamo tesi da
dimostrare», racconta De Biasi. «In dodici anni sono cambiate molte
cose, dalle trenta squadre siamo passati a oltre un migliaio nel mondo.
Ma c’è ancora troppa indifferenza e ipocrisia sul disagio mentale. Sono
figlio di una paziente psichiatrica. Non c’è niente di cui vergognarsi».
Eppure in pochi, fa notare, nel cinema italiano l’hanno raccontato.
«Bellocchio, certo, Diario di una schizofrenica di Risi, Senza pelle di
D’Alatri, il lavoro di Silvano Agosti. Devi amare le persone,
ascoltarle».
Alla partenza mancano pochi giorni. E ancora parte
dei fondi che si stanno raccogliendo via crowdfunding su
www.stradeonlus.it. Hanno aderito Morandi, Baglioni, Lillo e Greg, Paolo
Ruffini. La Figc fornisce le maglie agli azzurri, tutti tra i 20 e i 50
anni. L’allenatore è Enrico Zanchini, ex giocatore, preparatore
atletico il campione di boxe Vincenzo Cantatore. «Ho lavorato per
rinforzarli nel corpo ma ancora prima per aiutarli a superare le
barriere mentali, a potenziare l’autostima».
Ognuno ha la sua
storia, racconta Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di
Psichiatria Sociale. «Uno specchio delle diverse anime dell’assistenza
psichiatrica in Italia. Con una particolarità rispetto ai
professionisti: noi miglioriamo quando abbassiamo il consumo di
farmaci».