Repubblica 17.2.16
“I cardinali vedano il film sui preti pedofili” Al cinema col vescovo che puniva gli abusi
Esce
 domani nelle sale italiane “Il caso Spotlight”. Il racconto di 
monsignor Scicluna, che fu il pm vaticano all’epoca delle inchieste 
negli Stati Uniti
di Paolo Rodari
Chi si occupa 
delle anime deve capire che sarà la denuncia a salvare la Chiesa e non 
l’omertà Fu Ratzinger a dirci di guardare al fenomeno non come a un 
peccato ma come a un delitto e un crimine
LA VALLETTA. 
Passano i titoli di coda ma nessuno si alza. Dopo un po’ è monsignor 
Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, pm della Congregazione per la 
Dottrina delle Fede (Cdf) negli anni degli scandali della pedofilia nel 
clero (dal 2002 al 2012), a rompere il silenzio: «Questo film lo devono 
vedere tutti i vescovi e i cardinali, soprattutto i responsabili delle 
anime, perché devono capire che è la denuncia che salverà la Chiesa, non
 l’omertà», dice.
I 128 minuti di Il caso Spotlight — il film che 
ripercorre l’inchiesta con la quale, tra il 2001 e il 2002, il Boston 
Globe rivelò gli abusi su minori ad opera di sacerdoti della diocesi 
nordamericana — sono un tuffo in anni duri per Scicluna e i suoi 
collaboratori. In sala c’è anche Anthony Randazzo, sacerdote 
australiano, che ai tempi lavorava all’ex Sant’Uffizio sui casi di 
lingua inglese. «Ricordiamo tutti i nomi citati nel film», dicono. 
Avevate a che fare direttamente coi preti incriminati? «No. Ci 
interfacciavamo con i vescovi. Abbiamo incontrato più volte le vittime».
 Cosa dicevate loro? «Le ascoltavamo. Loro stesse, del resto, desiderano
 soltanto essere ascoltate, così che poi si possa fare giustizia nella 
verità e nella carità».
Sono 600 gli articoli che nel 2002 il 
Globe pubblicò in merito. Nel dicembre dello stesso anno il cardinale 
Law, allora arcivescovo di Boston, diede le dimissioni e si trasferì a 
Roma. L’inchiesta scoperchiò un male ramificato: furono 249 i sacerdoti 
accusati pubblicamente di abusi. Nel 2008 le vittime arrivarono a 1.476.
 «I numeri fanno impressione, ammette Scicluna. «Ma la forza di questo 
film non sono i numeri, quanto una parola chiave: omertà. Il film mostra
 come l’istinto, che era purtroppo presente nella Chiesa, di proteggere 
la buona fama, fosse del tutto sbagliato. Non c’è misericordia senza 
giustizia».
In mezzo al film, una frase significativa. La 
pronuncia il capo investigativo del Globe, Walter Robinson (interpretato
 da Michael Keaton). Dice: «Ci vuole un intero villaggio per fare 
crescere un bambino. E ci vuole un intero villaggio per abusare dello 
stesso bambino».
«In sostanza Robinson — spiega Scicluna — capisce
 che non si sarebbero potuti verificare questi crimini senza complicità.
 Il bambino viene abusato da un adulto, in questo caso da un prete, 
certo. Ma colpevoli sono anche altri, coloro che sanno e non parlano. E 
complici, nei casi di Boston, sono state tante persone, anche i 
giornalisti». Cioè? «È il film a svelarlo. A un certo punto il gruppo 
che investiga ha una crisi. È quando Robinson ricorda che dieci anni 
prima il Globe, venuto a conoscenza degli abusi commessi da padre James 
Porter, relegò la notizia in una nota sulle pagine locali. E il 
responsabile di quella cosa fu lo stesso Robinson.
L’inchiesta del
 Globe uscì il 6 gennaio del 2002. Proprio in quel mese Scicluna venne 
chiamato dall’allora cardinale Ratzinger alla Cdf per aiutare in un caso
 penale. «Quando arrivai, le nuove leggi procedurali per questi delitti 
più gravi c’erano già, diramate da San Giovanni Paolo II nel 2001. 
Ricordo che quattro mesi dopo l’uscita del Globe il Santo Padre convocò 
tutti i cardinali statunitensi. Disse loro: “Non c’è posto nel 
sacerdozio e nella vita religiosa per preti o religiosi che abusano di 
minori”. Fu l’inizio di un nuovo tempo per la Chiesa». Eppure, ancora 
oggi, non tutti i pedofili vengono denunciati. «È un gravissimo errore —
 dice Scicluna — . Fu Ratzinger a dirci che non bisognava guardare al 
fenomeno come semplicemente a un peccato, ma come a un delitto e a un 
crimine insieme».
Nel 2011, alcuni media accusarono Ratzinger di 
aver coperto. «Erano accuse infondate e ingiuste. I casi venivano 
gestiti a livello delle diocesi locali. Negli anni ’60 e ’70 molti 
vescovi basavano le loro decisioni sulla tesi, del tutto inadeguata, che
 questi crimini erano dovuti a condizionamenti ambientali. E così, al 
posto di denunciare i colpevoli, li spostavano di parrocchia in 
parrocchia… ma i predatori rimanevano tali ovunque. Ratzinger ogni 
venerdì presiedeva una riunione della Cdf chiamata “Congresso” in cui 
venivano spiegati i casi e si aprivano i processi. Tutti vedevamo la sua
 sofferenza, tanto che spesso non riusciva nemmeno a parlare. Gli usciva
 dalla bocca soltanto un “Mah…”. Era sdegnato e insieme profondamente 
colpito. Nel 2005 tenne le meditazioni nella famosa Via Crucis in cui 
denunciò la sporcizia presente nella Chiesa».
Era il 2010 quando 
Scicluna tenne un’omelia in San Pietro divenuta famosa. «L’inferno è più
 duro per i preti pedofili», titolarono i giornali. All’interno della 
Chiesa vi fu chi lo criticò. Parole troppo dure, dissero. «Ricordo la 
mia angoscia leggendo quei titoli. Nell’omelia avevo semplicemente 
citato Gregorio Magno che disse che chi, consacrato a Dio, rovina gli 
altri con la parola e l’esempio sarebbe stato meglio se fosse morto 
“quand’era nello stato laicale”, perché la sua “pena infernale” lo 
avrebbe “tormentato” in modo “più tollerabile”. Io non ho le chiavi 
dell’inferno. Credo invece fermamente nella misericordia di Dio per 
tutti, anche per i colpevoli. Dico soltanto che la base della 
misericordia nella giustizia è la verità».
 
