Repubblica 17.2.16
Dai nazisti rifugiati nei conventi a Cefalonia: la Camera dei deputati mette online i documenti mai visti
Ecco i segreti nascosti nell’armadio della vergogna
Le carte tratteggiano un paese pieno di ombre, tra criminali di guerra e agenti ossequiosi verso gli “antichi comandanti”
di Simonetta Fiori e Concetto Vecchio
La
“grande vergogna” è ora online: tredicimila pagine, oltre novecento
fascicoli che raccontano le trame e gli insabbiamenti intorno ai crimini
nazifascisti in Italia e in Europa. Da ieri l’archivio storico della
Camera dei deputati ha inaugurato una nuova stagione culturale rendendo
disponibili nel proprio sito tutte le carte su cui ha lavorato dal 2003
al 2006 la commissione parlamentare d’inchiesta sull’”armadio della
vergogna”. Fu un giornalista dell’Espresso, Franco Giustolisi, a
denunciarne per primo l’esistenza: un archivio ritrovato nel 1994 a Roma
negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, sede della procura generale
militare.
Le ante rivolte verso il muro, per scoraggiare
l’accesso. All’interno erano stati nascosti seicentonovantacinque
fascicoli sui crimini commessi dai nazifascisti tra il 1943 e il 1945.
Marzabotto. Sant’Anna di Stazzema. Fivizzano. Civitella in Val di
Chiana. E tantissime altre stragi. Pagine insanguinate della nostra
storia, ricostruite grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e al
lavoro di carabinieri e soldati americani e inglesi che registrarono
quelle voci a ridosso degli accadimenti. Un capitolo terribile — oltre
15mila le vittime italiane — che nel 1960 venne cancellato. Rimosso. O
come si disse allora, con una formula giuridicamente dubbia,
«provvisoriamente archiviato». In altre parole, chiuso a chiave nel
famoso armadio.
Le ragioni erano sostanzialmente politiche.
L’Italia voleva mantenere buoni rapporti con la Germania. Sarebbero
dovuti passare quasi cinquant’anni per la ripresa delle indagini e
l’inizio dei processi. Molti ufficiali tedeschi sono stati anche
condannati, ma le sentenze di fatto quasi mai eseguite.
Le
campagne di stampa — e anche le ricerche di Pier Vittorio Buffa, Mimmo
Franzinelli, Isabella Insolvibile, per citare solo alcuni — hanno
contribuito a tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, fino
all’istituzione nel 2003 di una commissione parlamentare di inchiesta.
Ora in rete ne troviamo l’archivio di lavoro, con i documenti
desecretati.
Carte che tratteggiano un paese pieno di ombre, tra
criminali di guerra e servizi segreti ossequiosi verso gli “antichi
comandanti”. E dove è destinato a cadere il mito degli “italiani brava
gente”. Comunque un’ampia tessitura diplomatica, che è l’altra faccia di
un armadio abbandonato.
Il vescovo di Hitler
Una mappa con
dieci istituti religiosi di Roma dove nel dopoguerra trovarono rifugio i
gerarchi nazisti: la cosiddetta “Via dei conventi”. Dopo la fuga di
Kappler dall’ospedale del Celio (15 agosto 1977) il Sismi in allarme
stila un rapporto con l’elenco dei ripari: tra gli altri, il convento
dei Salvatoriani di via della Conciliazione; dei Pallattini in via dei
Pettinari; dei Frati cappuccini di via Sicilia, dove fu nascosto Adolf
Eichmann. Al centro della tela il vescovo austriaco Alois Hudal che,
scrissero i servizi, «si era dedicato completamente alla causa del
nazismo nella speranza che Hitler, seguendo l’esempio di Enrico VIII
d’Inghilterra, si staccasse da Roma per fondare una chiesa cattolica
germanica e lo eleggesse al trono di Papa tedesco».
Chi si rivede, il generale Roatta
Nel
dopoguerra pesavano sulla sua testa diverse imputazioni. Ne citiamo
solo alcune: l’ideazione del piano per uccidere i Rosselli e l’uso del
Sim, il servizio militare da lui diretto, per dare la caccia ai capi
antifascisti. La Jugoslavia ne chiese l’estradizione come criminale di
guerra (l’accusa era di aver proceduto su ordine di Mussolini allo
sterminio del popolo sloveno). Il 4 marzo del 1945, alla vigilia della
sentenza, riuscì a scappare in Spagna, sotto le ali protettive di
Francisco Franco. Un’informativa del Sismi ci dice che il primo aprile
del 1954 viene spedito dal generale un emissario dei servizi che così
descrive il suo approccio: «Le mie relazioni con lui sono iniziate
naturalmente con l’ossequio all’antico comandante». Tra camerati ci si
intende.
Italiani brava gente?
Nella partita aperta con la
Germania, il silenzio conviene anche all’Italia che non è esente dai
crimini. Sin dal dopoguerra è stata coltivata la mitografia di un
fascismo italiano all’acqua di rose, poca cosa rispetto al totalitarismo
brutale dell’alleato tedesco. Così anche un tenace silenzio cade sulle
nostre responsabilità (almeno fino agli anni Novanta quando cominciarono
a uscire i primi documentati saggi). Le nuove carte rivelano
un’attenzione particolare da parte della Germania che il 22 agosto del
1968 chiede al nostro ministro degli Esteri una mappa dettagliata dei
campi di internamento in Italia. Il 5 febbraio dell’anno successivo è
pronta la relazione sul campo di San Gabriele dell’Addolorata, vicino a
Teramo, e su quello di Bagno a Ripoli, in Toscana (da dove gli ebrei nel
1944 furono prelevati a forza e trasferiti nei lager). Una nota delle
questure interpellate riguarda anche San Buono, in provincia di Chieti:
«Non ci fu alcun campo di internamento», si legge nella relazione, «ma
vi furono assegnate persone pericolose in linea politica o per motivi
razziali.
Cefalonia
Il nostro ministero degli Esteri mostra
grande interesse per gli esiti dell’inchiesta tedesca sul massacro di
Cefalonia che si chiude con un’archiviazione da parte della Procura di
Dortmund (se ne dà conto in una nota del 16 febbraio 1971). L’ambasciata
italiana aggiorna costantemente la rassegna stampa tedesca (fu il più
grave eccidio commesso dalla Wehrmacht). Ma in Italia la strage dei
soldati italiani che non vollero arrendersi era stata quasi
completamente dimenticata. Sarebbe stato il presidente Ciampi a
restituirle la memoria. E un nuovo saggio della studiosa Isabella
Insolvibile comparso nel Giornale di storia contemporanea dimostra che
non tutti i fascicoli scoperti nell’armadio della vergogna diedero luogo
a processi. Alcuni vennero rinchiusi frettolosamente in fondo agli
scaffali. E tra questi gli eccidi dei militari italiani compiuti dalle
truppe tedesche dopo l’8 settembre. L’indagine su Cefalonia di Antonino
Intelisano — che scoprì l’armadio della vergogna — sarebbe partita solo
nel 2007, per poi essere portata a termine da Marco De Paolis, con la
condanna all’ergastolo (in contumacia) del caporale Stork. Ma siamo
nell’ottobre del 2013, storia di oggi.
Quanto valgono i morti?
Poco
più di cinquantamila lire. Una nota dell’Ambasciata d’Italia (11 luglio
del 1969) comunica che «il Bundeswehrverwaltungsamt ha testé fatto
conoscere di aver provveduto al trasferimento di lire 56.250 al
ministero della Difesa».
Il motivo? È «il risarcimento di danni causati da militari tedeschi in Italia». Un assegno con il sapore della beffa.