Repubblica 13.2.16
Mai più nulla sarà come prima
di Enzo Bianchi
priore della comunità monastica di Bose
TUTTE
le chiese erano certe che in un futuro imprecisato il papa di Roma
avrebbe incontrato il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, l’unico
primate della chiesa ortodossa che aveva sempre dilazionato il faccia a
faccia con il papa.
QUESTO nonostante cinquant’anni di incontri
ecumenici e di viaggi in diverse nazioni. Tutti i patriarchi e i primati
delle chiese ortodosse e di quelle orientali avevano scambiato
l’abbraccio con il patriarca d’Occidente, ma il patriarca russo no.
Sono
stati cinquant’anni di attesa, nei quali però c’era chi continuava
silenziosamente ma caparbiamente a lavorare per questo incontro: organi
vaticani, centri ecumenici, vescovi ortodossi non attendevano
passivamente quest’ora che diventava anche urgente, per il sorgere del
problema di cristiani cattolici, ortodossi e orientali perseguitati e
spesso cacciati dal Medio Oriente e per l’ormai incontestabile bisogno
di una voce unanime capace di levarsi con autorevolezza nella nuova
situazione europea, segnata soprattutto da secolarizzazione e
indifferentismo religioso. Ed ecco che ieri l’impossibile è avvenuto
grazie alla santa risolutezza di papa Francesco, disposto a rinunciare a
ogni precondizione e a lasciare che fosse il patriarca Kyril a
stabilire i termini dell’incontro: «Io vengo. Tu mi chiami e io vengo,
dove vuoi, quando vuoi!». Parole che resteranno indelebili, come segno
di una profonda convinzione e di una capacità di umiltà che rinuncia ai
riconoscimenti, al protocollo, a quella che si sarebbe detta la “verità
cattolica” dell’autorità del papa.
E così l’incontro è avvenuto in
modo inedito: nessuno dei protagonisti ha avuto accanto a sé il suo
popolo ad applaudirlo, non c’è stato nessun mega-evento ecclesiale,
nessuna liturgia né sfarzose cerimonie. È avvenuto l’essenziale: il
faccia a faccia tra Francesco e Kyril, l’abbraccio tanto aspettato, il
dialogo di quasi due ore tra fratelli che mai si erano incontrati ed
erano divisi da quasi un millennio. I temi del dialogo non coincidono
pienamente con quelli della dichiarazione congiunta finale, che è
un’attestazione della preoccupazione dei due capi di chiesa. Certo,
hanno parlato innanzitutto dell’ecumenismo del sangue che è
testimonianza, martirio da parte delle loro rispettive chiese; hanno
guardato al Medio Oriente attraversato da violenze, terrorismo e guerre
che fanno fuggire i cristiani; hanno discusso della testimonianza comune
in un mondo non-cristiano. Ma hanno parlato anche di altri temi:
dell’urgente rappacificazione tra chiese in Ucraina, del rifiuto
dell’uniatismo e del proselitismo, dell’accettazione del diritto dei
greco-cattolici a esistere e vivere accanto agli ortodossi, dei rapporti
tra la chiesa di Roma e l’ortodossia tutta, del dialogo teologico
bilaterale che procede con difficoltà… La dichiarazione comune potrebbe
anche sembrare deludente, ma è un approdo al quale mai era giunta la
chiesa ortodossa russa. Ed è significativo che, accanto alla difesa
delle esigenze di giustizia, si trovino temi ritenuti decisivi da
entrambe le parti, come l’etica familiare e la difesa della vita.
In
ogni caso, ciò che è decisivo è che l’incontro è avvenuto, e ormai
nulla sarà più come prima tra le due chiese. Molti riducono questo
evento a un fatto di politica ecclesiale e, quando ne scrivono, non
riescono a leggerlo in profondità, perché sono solo esperti di
diplomazia ecclesiastica; ma in verità — e credo di dirlo conoscendo
bene la situazione e le parti in causa — ciò che ha determinato
l’incontro e gli dà il significato decisivo è la volontà del
ristabilimento della comunione. Questa passione e questa santa
ossessione ormai la conosciamo bene in Francesco; ma chi conosce Kyril
sa che anche lui è convinto di tale cammino, da autentico discepolo del
metropolita Nikodim morto tra le braccia di Giovanni Paolo I in Vaticano
nel 1978, mentre gli esponeva la reale situazione dei cristiani
nell’Urss. Non si dimentichi che Nikodim venne più volte in Occidente, e
anche a Bose, per una testimonianza comune sulla pace allora
minacciata, e che Kyril, sempre a Bose, ha partecipato agli incontri tra
cattolici e ortodossi, sostenendoli in modo risoluto.
Un lungo
cammino quello che si è concluso ieri, del quale non riusciamo ancora a
valutare l’importanza e le possibilità aperte per l’avvenire. Kyril ha
mostrato di essere quello che conoscevamo di lui: un primate convinto
della necessità della sua azione ecumenica per tutte le chiese
ortodosse, dell’urgenza di una collaborazione con il patriarcato
ecumenico di Costantinopoli e di una riconciliazione con la chiesa
cattolica. Alcuni non possono leggere questo evento senza pensare a una
regia politica di Putin e arrivano a contestare questo incontro,
definendo ingenuo il papa. Ma Francesco è un visionario, non vuole che
la chiesa viva di tattiche e di strategie, ma crede nella dinamica della
storia e nella bontà dell’uomo su cui riposa sempre la chiamata di Dio.
Perciò non teme, ma audacemente costruisce ponti anche dove profondo è
l’abisso e largo il fiume che separa le due rive.