sabato 13 febbraio 2016

La Stampa 13.2.16
Il Patriarca che ama lusso e YouTube e definisce Putin un “miracolo di Dio”
Ha sostenuto la crociata del Cremlino contro gay e Pussy Riot Il suo clero lo accusa di modernismo per l’apertura al Vaticano
di Lucia Sgueglia

Dalle Isole delle lacrime all’Isola della Libertà nei Caraibi, dall’Urss all’ecumenismo, passando per la Siria. È una biografia complessa e contraddittoria, quella di Vladimir Mikhailovich Gundyayev, 69 anni, nato nell’allora Leningrado come Vladimir Putin, ordinato monaco nel 1969, in pieno ateismo di Stato, dal 1989 capo del Dipartimento delle relazioni Esterne del Patriarcato, ex Metropolita di Smolensk e Kaliningrad, salito alla guida della Chiesa russa dal 2009.
Figlio e nipote di sacerdoti, il nonno soffrì 30 anni di Gulag sulle famigerate isole Solovki. Ultra conservatore e contrario alle riforme liturgiche e dottrinali, eppure alla sua nomina fu accusato di «modernismo» e «filo-cattolicesimo» dall’ala più intransigente del suo stesso clero. Appassionato internauta, abile comunicatore e diplomatico, allineato col Cremlino sui dossier politici più importanti (con l’eccezione dell’Ucraina, Paese fratello nella fede). Ma è proprio lui ad aprire la breccia in mille anni di divisione tra la prima e la terza Roma, compiendo lo storico passo che il suo predecessore Alessio II, colui che riportò la fede in Russia dopo 70 anni di Urss, sempre rifiutò.
Vicino, troppo vicino a Vladimir Putin secondo alcuni, fedeli inclusi, avrebbe quasi annullato la separazione Chiesa-Stato. Criticato per il suo presunto amore del lusso, dal costosissimo orologio svizzero Breguet che «sparisce» dalle foto ufficiali, a sospette ville sul Mar Nero o mega appartamenti di fronte al Cremlino. Accusato di contrabbando di sigarette, e persino di legami con il Kgb, per quella sua carriera liturgica precoce, che parte da lontano.
Al fianco di Putin anche nella crociata moralista lanciata in Russia col terzo mandato: dalle leggi anti-gay (con dichiarazioni omofobe, considerò «onesti» alcuni «terroristi» dell’Isis in fuga dal «radicalismo secolare» che celebra i Gay Pride), alla condanna alla galera delle «blasfeme» Pussy Riot (di cui è considerato ispiratore), agli attacchi contro l’opposizione liberale russa, nel 2012 definì le proteste di massa in piazza contro il Cremlino «grida perfora timpani», lodando Putin come «Miracolo di Dio». In barba alla misericordia.
Ma se il leader russo si vanta di non usare la posta elettronica, il Patriarca non adora navigare sul web, e pare se la prenda molto per le critiche online, tanto che avrebbe chiesto ai popi di astenersi da commenti «aggressivi» sul web. Ha una sua pagina Facebook, un canale YouTube dedicato ai giovani, fin dal 1994 è un volto noto della tv di stato col programma settimanale «La parola del Pastore».
L’Occidente «buono»
Una chiesa non pauperista come quella cercata da Francesco, la sua. Ma in Bergoglio, per gli esperti russi, Kirill vede un Papa «non europeo» e non allineato con gli Usa, quindi il rappresentante di un Occidente alternativo, «buono». Nel 2008 Fidel Castro, inaugurando la prima Chiesa ortodossa russa all’Avana, chiamò l’allora Metropolita «alleato contro l’imperialismo americano».
L’incontro di Cuba, assicurano i cremlinologi, non sarebbe avvenuto senza la benedizione del Cremlino. E darebbe una mano a Putin per rompere l’isolamento internazionale della Russia dovuto a sanzioni, Ucraina e Siria, presentando Mosca come ultimo difensore della cristianità contro brutali selvaggi a Oriente, e «pagani decadenti» a Occidente. Con un occhio alla politica religiosa: il primo Concilio pan-ortodosso si terrà a giugno a Creta dopo 12 secoli, e Kirill col Patriarcato di Mosca punterebbe a strappare, legittimato da Francesco, la supremazia morale al rivale Bartolomeo, Patriarca di Costantinopoli, «primus inter pares» tra le chiese ortodosse mondiali. Ma a Mosca, tutti riconoscono a Gundyayev l’inatteso coraggio di un passo impopolare all’interno della sua Chiesa: molti, i più conservatori, non approvano l’abbraccio col Vaticano, in cui vedono un tutt’uno con l’Occidente «nemico». E in questo senso, si può dire, il suo è un passo «progressista».