Repubblica 12.2.16
Le primarie.
Hillary spera che il 37%
della popolazione afro in South Carolina fermi l’ondata del rivale che è
a caccia di appoggi: ha ottenuto quello del rapper Mike e di Cornel
West
I sogni di Sanders nell’America dei neri la Clinton in difesa dei suoi voti black
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON
È AI FIGLI di Django, è agli eredi degli schiavi del Sud che Hillary
Clinton chiede la liberazione dall’incubo della sconfitta. Nero è il
colore della sua ultima speranza di vincere le elezioni e di respingere
l’assalto del grande vecchio Bernie e della sua folla di giovani
bianchi.
È in South Carolina, la terra degli schiavi, delle
immense risaie coltivate dai deportati dall’Africa, del primo colpo
sparato nel Forte di Sumter, a Charleston, che diede il via alla
Secessione e alla Guerra, che la carovana della politica americana sta
piantando i suoi tendoni e nessuno lo fa con tanta ansia quanto il
“Clinton Travelling Circus”. Dopo gli antipasti dello Iowa e del New
Hampshire, indigesti per lei e deliziosi per zio Bernie il populista, la
South Carolina, con quel 37 per cento di popolazione di origine
africana, deve essere la paratia stagna che fermi l’ondata di Sanders. O
il suo avversario dilagherà dall’Atlantico verso il West e le Grandi
Pianure, travolgendola.
Mentre i repubblicani affidano alla
potente destra cristiana, alla enorme popolazione in uniforme, agli
evangelici rinati in Cristo, l’ultima possibilità di fermare Donald
Trump, il miliardario di New York che sembra incarnare tutto il
secolarismo e l’esecrato libertinismo della “Sodoma sullo Hudson”,
Hillary e Bernie si sono lanciati all’assalto di quel voto nero che alle
Primarie democratiche produce oltre il 55% dei partecipanti. Per
Sanders, che ha fatto la propria carriera politica sempre e soltanto nei
ghetti bianchi del New England, dove la popolazione di colore non
supera il 3 per cento, l’incontro con la Black America è la scoperta di
un continente umano nuovo.
Diligentemente, il 60enne senatore
ebreo venuto da Brooklyn sta facendo il giro delle sette chiese,
simbolicamente e letteralmente. Ha incontrato uno dei predicatori e
opinionisti più ascoltati nella comunità afro, il reverendo Al Sharpton
ad Harlem, sperando in un’investitura pubblica che Sharpton ancora si
riserva di dare. I suoi “surrogati”, e lui stesso, battono le chiese
battiste della Carolina dove i Pastori, per fede e interesse,
tradizionalmente appoggiano i democratici e compattano i loro greggi nei
giorni delle votazioni. Ha raccolto l’appoggio di rapper, come killer
Mike, e del politologo Cornel West, già sostenitore di Obama oggi deluso
e tradito. E 10mila volontari di Sanders si stanno muovendo fra i 4
milioni e mezzo di abitanti dello Stato per bussare, pagati 5 dollari al
giorno, alle porte delle chiese, delle case, dei saloon, delle
fabbriche.
I sondaggi alla vigilia del sesto dibattito democratico
dicono che zio Bernie è molto indietro, ma che anche nelle terre di
Django il suo messaggio risuona. E se lui potrebbe essere sconfitto in
South Carolina senza troppi danni, un’altra disfatta per Hillary e per
la “Clinton Machine” di Billary qui potrebbe essere irrecuperabile. Lo
sarebbe perché questo Stato da anni in transizione fra il passato
ruspante di piantatori e cavalieri incappucciati del Klan e una comunità
in continua crescita economica, culturale e demografica grazie a
investimenti anche esteri lo ha reso meno scontato. Con 6,7 miliardi di
dollari in fabbriche aperte da case automobilistiche, e lo stabilimento
della Bmw che diventerà il primo nel mondo per la casa bavarese, la
South Carolina è lo Stato americano che accoglie più investimenti
stranieri in tutti gli Usa.
Ed è, dal 1992, Clinton Country, è
riserva di caccia per il marchio lanciato dall’ex presidente, che fu
definito dalla scrittrice Toni Morrison “il primo presidente nero della
storia” e ora passato alla moglie. Anche nelle primarie del 2008, quando
Obama comprensibilmente sconfisse Hillary, la signora raccolse più voti
di quanti se ne aspettasse. Ma come ha scoperto dolorosamente nel New
Hampshire, essere donna non garantisce affatto il voto della donne. Ed
essere moglie “nera ad honorem” non assicura il sostegno della comunità
afro. I maggiorenti della comunità di colore nazionale, il Black Caucus,
il gruppo di deputati e senatori afro a Washington, la Naacp, la
associazione nazionale per l’avanzamento della gente di colore, politici
e pastori locali sono per Hillary, e con lei si faranno fotografare nei
giorni che mancano al sabato del voto, il 27 febbraio, per quello che
valgono. Molti degli elettori alle primarie — si calcola il 10 per cento
— sono millennial, cresciuti attorno all’inizio del nuovo Millennio,
ragazzi e ragazze di ogni carnagione che non hanno mai votato e che
della storia d’amore con i Clinton nulla sanno e meno gli importa.
In
un tempo che ha visto l’implicito razzismo delle polizie disinvolte
nell’abbattere uomini con la pelle scura, in una nazione che, anche
sotto la guida del “nero ad honorem” Clinton e del “quasi nero” Obama,
accusato di essere africano di pelle, ma bianco di cuore, le promesse
dell’establishment democratico potrebbero non convincere più. Sanders,
l’anti-establishment, il nonno che tuona contro il carcere facile per i
neri e per la giustizia ingiusta che risparmia i figli dei bianchi
rinchiudendo invece un milione e mezzo di colored per gli stessi reati,
tocca una corda profonda per chi crede che le vite dei “Black” debbano
contare come quelle dei “White”. Se vuole vincere, Hillary dovrà
raggiungere la mente toccando i cuori e convincere gli elettori del
primo Stato del Sud chiamato al voto che lei non sarà come tutti i suoi
predecessori: la piazzista di promesse, dimenticate il giorno dopo la
vittoria.